17 marzo 1861 – 17 marzo 2020. 159 anni fa l’Italia si unificò e Vittorio Emanuele II di Savoia proclamò il Regno d’Italia contro il nemico austriaco. 159 anni dopo, oggi, l’Italia si è chiusa Dall’Alpi a Sicilia, come recita l’Inno di Mameli, contro un nuovo nemico, stavolta invisibile: il virus che ha portato a più di 2 mila morti e oltre 20 mila contagi.
Da Bolzano alla Sardegna, dalle colline toscane al mare Adriatico, dalla città eterna alla Venezia che il mondo ci invidia, l’Italia si è unita nella sofferenza, da cui sembra esser riemerso un sentimento di appartenenza nazionale che da anni si faticava a percepire.
Le parole del premier Conte
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha sottolineato: «Mai come adesso l’Italia ha bisogno di essere unita. Sventoliamo orgogliosi il nostro Tricolore. Intoniamo fieri il nostro Inno nazionale. Uniti, responsabili, coraggiosi».
L’Italia tra patriottismo e nazionalismo
Dopo la caduta del fascismo, movimento che si basava sulla grandezza dello Stato, termini come “patria” e “nazione” hanno assunto un significato quasi negativo. Con l’era della globalizzazione, poi, si è iniziato a ragionare in termini mondiali. L’Unione europea ha abbattuto le frontiere, il trattato di Schengen ha permesso la libera circolazione di persone e merci. Da qui la percezione sempre meno palpabile di “nazione”, di “confini”, di “Stato”. E così il “nazionalismo” è diventato un termine politico, attribuito ai partiti sovranisti e “patria” un termine confinato al passato, usato da nostalgici.
«Gli italiani si ricordano di esser tali durante i mondiali di calcio». È un pensiero di molti. Basta assistere alla Coppa del Mondo per vedere il ritorno del tricolore, che viene poi puntualmente dimenticato nello scantinato per i quattro anni successivi, con qualche eccezionale e timida apparizione nel giorno della festa della Repubblica, il 2 giugno. Scompare il tricolore come scompare l’orgoglio nazionale, sostituito da un più sentito “patriottismo di città” e senso di appartenenza limitato semmai alla propria provincia.
Non stupisce nemmeno l’incuria della bandiera appesa ai palazzi istituzionali. Consunta, sporca. Dimenticata. L’esatto opposto della cura maniacale con cui gli Stati Uniti o i Francesi piegano, sventolano, sfoggiano la loro. Tanto abbiamo cura dei nostri luoghi privati, tanto poca cura abbiamo dell’immagine del nostro Paese all’estero.
L’emergenza ha risvegliato il patriottismo negli italiani
Con l’imperversare del covid-19, da nord a sud, tutti oggi viviamo nella stessa paura, vediamo le stesse disgrazie, proviamo la stessa stima per i nostri “soldati” che ci difendono: medici, infermieri, forze dell’ordine, vigili del fuoco, volontari della protezione civile e tutti coloro che in questo momento sono là fuori per fare la loro parte, in nome della propria gente, in nome di tutti noi.
Mai come quest’anno si sente il bisogno di sventolare il tricolore e ricordare la storia dell’Unità, dalla famosa “questione italiana” posta formalmente nel 1831 a Berna da Giuseppe Mazzini fino a Cavour che la portò tra le priorità del regno dei Savoia e a Garibaldi che dopo esser partito con la celebre spedizione dei Mille da Quarto, sbarcò a Marsala, in Sicilia, e risalì la penisola con la stessa bandiera.
È così che oggi il tricolore, ideato a Reggio Emilia, sembra avere un sapore diverso. Torna a mostrarsi in tutta la sua simbolica bellezza per le strade, sui balconi delle case, dipinto sui muri e disegnato dai bambini. Rappresenta l’unità di un popolo che sta attraverso un momento buio e che si sente più vicino alle proprie radici culturali in quanto italiane.
Abbandonati i campanilismi che pure ci caratterizzano e rendono unici al mondo, nelle ultime settimane siamo diventati tutti più italiani. E fieri di esserlo. Così può capitare, in questi giorni più amari del solito, che perfino il cinico antipatriottico d’Italia, da uno di quei balconi, si commuova ascoltando le note e le parole dell’Inno di Mameli.
L’Italia s’è desta.