«L’apartheid non è un crimine contro l’umanità». Basta una frase per far riaprire le ferite del Sud Africa. A pronunciarla è stato l’83enne Frederik Willem De Klerk, l’ultimo presidente bianco del Paese, e ha provocato grandi polemiche.
«Abbiamo un assassino in Parlamento»
Il caso si è aperto quando i primi di febbraio De Klerk ha rilasciato un’intervista all’emittente nazionale SABC. Il conduttore della trasmissione gli ha chiesto se fosse d’accordo nel definire l’apartheid un crimine contro l’umanità. «No, non sono pienamente d’accordo» ha risposto l’ex presidente.
In un primo momento è sembrato che l’affermazione non avesse avuto una grande eco: infatti De Klerk ricopre ormai un ruolo marginale nella politica interna.
La dichiarazione è cominciata a rimbalzare giovedì 13 febbraio quando, all’appuntamento annuale del discorso del presidente Cyril Ramaphosa, un membro dell’opposizione ha preso la parola. «Abbiamo un assassino in Parlamento» ha esordito Julius Malema, del partito d’opposizione Economic Freedom Fighters (EFF). L’accusa di Malema è rivolta a De Klerk. «Ha le mani sporche di sangue», ha poi continuato chiedendo con insistenza che lasciasse l’aula del Parlamento.
A partire da questo momento sono state molte le note di biasimo indirizzate all’ex presidente del Sud Africa, accusato di voler riscrivere la storia del Paese. Lo stesso presidente che insieme a Mandela nel 1993 è stato insignito del Nobel per la Pace per aver reso possibili i negoziati che misero la parola fine all’apartheid.
De Klerk si difende
L’ex presidente e la sua Fondazione hanno cercato però di giustificare le dichiarazioni fatte alla SABC, spiegando perché secondo la loro opinione l’apartheid non sia un crimine di guerra. «Riconosco sia un crimine – dice lo stesso De Klerk – ma un processo discriminatorio che ha provocato pochi morti non può essere né un genocidio né un crimine contro l’umanità».
La fondazione De Klerk punta il dito sull’EFF che “vuole solo diffondere odio» e portare avanti la falsa narrazione sudafricana, quella fatta di contrapposizione tra bianco e nero e buoni e cattivi. Si vuole quindi descrivere De Klerk come un dittatore, nonostante più volte si sia scusato per il ruolo avuto nell’apartheid.
Nel tentativo di difendere la propria posizione, l’ex presidente ha riferito alla BBC che le sue dichiarazioni erano in linea con quelle del Concilio di Sicurezza dell’ONU. All’epoca l’assemblea generale aveva definito l’apartheid come un crimine contro l’umanità. Il Regno Unito e gli Stati Uniti però avevano votato contro, e, in quanto membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, applicarono il loro veto.
Nonostante ciò il Sud Africa è stato condannato più volte dall’ONU per il razzismo dell’apartheid, imponendo embarghi e invitando gli altri Stati delle Nazioni Unite a sospendere i rapporti con il Paese (ne è un esempio la risoluzione numero 1761 del 6 novembre 1962).
La ferita che fa ancora male
C’è una consistente fetta della popolazione che ritiene le parole di De Krerk inaccettabili, come sono considerati inaccettabili tutti i tentativi di difenderlo.
«Molti bianchi sudafricani continuano a negare l’intero orrore dell’apartheid», scrive l’esperto costituzionalista Pierre de Vos. «Si rifiutano di ammettere che i loro genitori hanno fatto parte del sistema, sia che loro stessi abbiano discriminato sia che abbiano assistito a discriminazioni, tacendo».
Secondo l’opinione di molti, infatti, il commento di De Klerk porta all’evidenza che la maggior parte dei bianchi sudafricani non sono mai stati obbligati ad affrontare le responsabilità del passato. Il fatto che l’apartheid si sia concluso con una negoziazione e non con una vittoria militare è forse una componente di questo rifiuto.
La discussione sul razzismo sudafricano si riaffaccia in un momento già difficile per lo Stato. L’economia del Sud Africa «è sull’orlo del precipizio» afferma l’arcivescovo Desmond Tutu. Il Paese è afflitto da una povertà radicata e dalla pesante diseguaglianza. Chi si trovava in una situazione di grave indigenza durante l’apartheid è presumibile che si trovi nella stessa condizione anche oggi. È probabile che questo sia uno dei motivi per cui le parole di De Klerk pesano così tanto, perché riaprono una ferita che non è mai realmente guarita.