Dei volti scheletrici con gli occhi scavati, puntati verso il fino spinato. Uomini rasati, poco vestiti e marchiati sulla pelle. Un numero di sei cifre tatuato sull’avanbraccio e simboli in stoffa cuciti sulla divisa. Così i prigionieri dei campi di concentramento venivano classificati dai nazisti per essere riconosciuti. Il triangolo giallo identificava gli ebrei, il marrone la popolazione di origine Zingara , Rom e Sinti. Il viola veniva invece applicato alle divise dei testimoni di Geova; il nero a quelle degli asociali; il rosa agli omossessuali mentre il triangolo rosso era per i prigionieri politici. E ancora, blu e verde per immigrati e delinquenti comuni.
Il termine Olocausto significa «bruciato interamente». Non a caso, venne usato a posteriori per indicare lo sterminio degli «indesiderabili», categorie considerate inferiori. 27 gennaio 1945-27 gennaio 2020: 75 anni fa l’arrivo delle truppe sovietiche, l’apertura dei cancelli di Auschwitz e la liberazione dei sopravvissuti.
Il 1 novembre del 2005, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite scelse il 27 gennaio come data simbolica di riferimento del Giorno della memoria. In quell’anno, si tennero le celebrazioni del sessantesimo anniversario della liberazione dei lager nazisti. In Italia, invece, la ricorrenza fu istituita il 20 luglio del 2000. Nei campi di sterminio morirono più di 15 milioni di persone. Tra queste, sei milioni erano ebrei.
«In Italia, sotto il regime fascista, la persecuzione di cittadini italiani ebrei fu feroce e spietata», ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. In occasione del Giorno della memoria, il capo dello Stato ha spiegato che tra «il carnefice e la vittima non può esserci mai una memoria condivisa» e che se «il perdono esiste e concerne la singola persona offesa, non può essere inteso come un colpo di spugna sul passato».
Anche Papa Francesco si è rivolto ai fedeli richiamando l’importanza della memoria. «Davanti a questa immane e atroce tragedia non è ammissibile l’indifferenza ed è doverosa la memoria», ha detto il Pontefice il 27 gennaio. «L’anniversario dell’Olocausto, l’indicibile crudeltà che l’umanità scoprì 75 anni fa, sia un richiamo a fermarci, a stare in silenzio e fare memoria. Ci serve, per non diventare indifferenti».
Secondo l’analisi realizzata dall’Unione delle comunità ebraiche italiane insieme allo scrittore e storico Marcello Pezzetti, i sopravvissuti allo sterminio che vivono attualmente in Italia sono 13. Tra di loro, c’è la senatrice a vita Liliana Segre. Sopravvissuta ad Aushwitz, è la prima firmataria al Senato per la creazione di una Commissione parlamentare contro l’odio. «Con grande preoccupazione seguo, da anni» – ha dichiarato la Segre a Vatican News – «questo riaffacciarsi di sentimenti odiosi che sono il contrario dell’accoglienza, che sono il contrario della fraternità. Sono molto preoccupata di questa onda, che non è anomala ma è il risultato della crisi economica, ma anche il risultato di insegnamenti molto sbagliati, di sovranismi e populismi», ha aggiunto. «I ragazzi imparino a non ascoltare quello che grida più forte».
Di fatto, l’orrore del genocidio nazista segna il passato, incide sul presente e condiziona il futuro. Eppure, anche nel 2020 esistono campi di lavoro. Le incarcerazioni di massa non si sono ancora concluse. In Cina, le vittime fanno parte della minoranza uiguri, un’etnia di religione islamica che abita nella regione dello Xinjiang. Musulmani che vengono separati dalle loro famiglie, arrestati e chiusi in lager e costretti al lavoro forzato. I dati lo evidenziano in modo chiaro: nei lager cinesi sono internati circa 1,5 milioni di uiguri.
Lavori, indottrinamento, violenze fisiche e psicologiche. Pressioni che non riguardano solo gli incarcerati, bensì anche i familiari delle vittime. Come riportato dalla Rfa, la Radio free Asia, i parenti degli internati sono obbligati a farsi visitare a casa dai membri del Partito comunista di etnia Han per favorire il controllo su abitudini e idee politiche. Le autorità cinesi parlano di misure per prevenire la radicalizzazione e il terrorismo. E così la memoria diventa flebile, fragile.