I morti possono tornare a parlare. La fantasia di molti sta diventando realtà grazie allo studio condotto da tre università del Regno Unito. Le ricerche sono a cura della Royal Holloway di Londra, in collaborazione con l’Università di Leeds e quella di York.
La prima cavia è Nesyamun, un sacerdote vissuto sotto Ramses XI e morto 3000 anni fa. Un soggetto di studi perfetto perché il corpo è stato mummificato al momento della morte, conservandosi piuttosto bene. Per di più l’egiziano Nesyamun faceva della voce il suo mestiere, vista la necessità di recitare salmi.
«Non abbiamo fatto altro che realizzare il suo desiderio» scherza il co-direttore della ricerca, il Professore Fletcher. Dopo anni di silenzio le parole di Nesyamun tornano a risuonare. Secondo quanto dicono i ricercatori infatti la dimensione della laringe e del tratto vocale del sacerdote suggeriscono che avrebbe avuto una voce leggermente più acuta rispetto all’uomo medio di oggi.
Una storia travagliata
La mummia di Nesyamun si trova adesso al City Museum di Leeds. Già nel 1824 era stata riesumata per alcuni studi sulla data della morte. Tra le ipotesi del decesso c’era lo strangolamento. Gli esami successivi hanno evidenziato come il collo della mummia non recasse però danni evidenti. Si è giunti alla conclusione che la causa del decesso non fosse altro che una puntura di un insetto e la conseguente reazione allergica. In ogni caso una morte travagliata, ma Nesyamun non trova pace neanche da morto. La mummia viene trasferita a Leeds subito prima che la città venga bombardata nel 1941.
Sì parla, ma come?
Secondo il rapporto della rivista Scientific Reports, la mummia era stata portata all’ospedale universitario e sottoposta a una serie di TAC. Grazie a questo, il team di ricercatori ha potuto ricostruire il condotto vocale in digitale, poi riprodotto da stampante 3D.
La lingua disidratata e la completa assenza del palato molle avrebbe impedito la riproduzione della voce del sacerdote. Per questo le due mancanze sono state colmate da modelli 3D appositamente realizzati.
Il professor John Schofield, archeologo e co-autore dello studio, ha affermato che l’approccio del team potrebbe offrire al pubblico un nuovo modo di interagire con il passato. «L’idea di entrare in un museo e di andare via dopo aver sentito una voce di 3000 anni fa è il genere di cosa che le persone potrebbero ricordare per molto tempo».