In nome dell’Iran salì sul podio. In nome dell’Iran alzò, per la prima volta nella storia del Paese, la medaglia olimpica. Ed ora, dall’Iran, ha deciso di emigrare. Lei è Kimia Alizadeh, 21 anni, medaglia di bronzo in taekwondo, scappata dal regime di Teheran per rifugiarsi in Olanda.
«Non voglio essere una delle milioni di donne oppresse in Iran» ha dichiarato l’atleta. Il suo j’accuse, pubblicato sul profilo Instagram, è rivolto al governo iraniano, reo di aver usato la sua vittoria sportiva per fini propagandistici.
La 21enne non condivide l’imposizione del velo da parte delle autorità iraniane, che attuano discriminazioni sessuali e maltrattamenti. «Mi hanno portato dove volevano. Ho indossato quello che dicevano. Ogni frase che mi hanno ordinato di dire, l’ho ripetuta. Ogni volta che lo hanno ritenuto opportuno, mi hanno sfruttato» , scrive, aggiungendo che il merito del suo successo veniva sempre attribuito ai manager.
«Non contavo nulla per loro. Nessuno di noi era importante, eravamo solo marionette», ha aggiunto la Alizadeh, spiegando che mentre il regime celebrava le sue medaglie, criticava aspramente lo sport che aveva scelto. «La virtù di una donna non è di allungare le gambe!», dicevano.
Per questo ha deciso di abbandonare il suo Paese, seppur, confessa, a malincuore: «Nessuno mi ha invitato in Europa e non mi è stata fatta nessuna offerta allettante. Anzi. Ma accetto il dolore e le difficoltà della nostalgia di casa perché non volevo far parte dell’ipocrisia, delle bugie, dell’ingiustizia e dell’adulazione del regime».
Nell’intervista rilasciata a TPI Kimia racconta del difficile rapporto tra le donne iraniane e lo sport: «Alle donne è vietato l’accesso agli stadi. La condizione delle donne è caratterizzata da repressione e violenza, non solo nello sport».
L’atleta, che vinse la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Rio de Janeiro nel 2016, non rappresenta il primo caso. Sotto i cieli di Teheran, in balia di eventi tutt’altro che positivi, l’oppressione del regime, nel mondo sportivo (e non solo), non risparmia nessuno. A settembre scorso Saeid Mollaei, judoka di 27anni, si è rifugiato in Germania raccontando che le autorità iraniane non gli hanno permesso di gareggiare con un atleta israeliano. E ancora, Alireza Faghani, arbitro internazionale di calcio classe 1978, è fuggito in Australia per scappare dall’oppressione esercitata da Teheran.
Ora il desiderio di Kimia è di partecipare alle Olimpiadi di Tokyo 2020, ma stavolta pare che non gareggerà con la bandiera iraniana, da cui non si sente più rappresentata.