Una confisca del valore complessivo di oltre 11 milioni di euro, quella effettuata dai carabinieri del Comando provinciale di Enna nei confronti dell’imprenditore agricolo Gabriele Giacomo Stanzù, in stretto contatto con elementi di spicco della mafia siciliana.
Conti correnti e postali, 349 ettari di terreni, tre aziende agricole, otto fabbricati e dieci automobili i beni recuperati dalle forze dell’ordine, che avevano predisposto il sequestro già nel 2017.
Allora, infatti, il sequestro era stato reso possibile grazie a precedenti dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, risalenti al 2011 e al 2012.
Tali testimonianze confermano i legami di Stanzù, messinese d’origine ma trapiantato ad Enna, con la famiglia ennese di “Cosa nostra” ed in particolare col deceduto esponente Daniele Emanuello, della famiglia di Gela.
L’omicidio commissionato da Stanzù
L’imprenditore, in carcere dal 2011, sta scontando una pena di 14 anni per aver commissionato l’omicidio dell’operaio agricolo Franco Saffila, avvenuto il 28 settembre 1998. L’esecuzione era stata realizzata proprio con la collaborazione di Emanuello che doveva ricambiare un favore a Stanzù per avergli offerto delle basi logistiche nelle province di Enna e Messina. Emanuello si era sdebitato fornendo i sicari per uccidere Saffila a colpi di pistola.
Fondamentale per ricostruire la vicenda era stata la collaborazione del collaboratore di giustizia e reo confesso dell’omicidio di Saffila, il killer Carmelo Billizzi, il quale ha anche dichiarato alle autorità il motivo per cui Stanzù avrebbe ordinato l’esecuzione. Egli imputava a Saffila, nel lontano 1979, di aver ucciso suo padre ed era quindi venuto il momento di vendicarsi.
L’inchiesta antimafia che aveva reso possibile scoprire i dettagli dell’omicidio aveva avuto inizio nel 2004 e 2005 dalla Dda di Catania, sotto il nome “Dioniso”.
Seguendo quella traccia, la Guardia di Finanza aveva conosciuto anche un ulteriore risvolto nelle vicende criminali in cui è stato coinvolto Stanzù. Nel 2018 infatti, la Guardia di finanza ha scoperto che i beni sequestrati all’imprenditore agricolo l’anno precedente – e oggi definitivamente confiscati – continuavano ad essere gestiti dal carcere dallo stesso Stanzù, attraverso la mediazione del fratello.