Chelsea Manning, l’ex analista dei servizi militari che ha passato a WikiLeaks i file segreti sugli abusi dei militari americani in Iraq, è stata rilasciata dopo 62 giorni di carcere. Era detenuta nella prigione “William G. Truesdale” di Alexandria, in Virginia, con l’accusa di oltraggio alla Corte per essersi rifiutata di testimoniare davanti a un giudice federale su WikiLeaks, l’organizzazione fondata da Julian Assange nel 2006.
Nel 2009, quando ancora si chiamava Bradley ed era un uomo, l’ex talpa aveva infatti rubato decine di migliaia documenti militari e diplomatici riservati, di cui alcuni top secret. Li aveva trafugati mentre svolgeva il suo incarico di analista di intelligence a Baghdad. Una volta impossessatasi del materiale sensibile – tra cui un video in cui elicotteri Usa uccidevano 12 civili disarmati – Manning lo aveva consegnati a Wikileaks. Per questo era in prigione.
Ora però i suoi avvocati, come scrive La Repubblica, fanno sapere che la sua libertà potrebbe non durare a lungo perché è già stata raggiunta da un nuovo ordine di comparizione, verosimilmente per il 16 maggio.
Manning aveva già scontato in carcere 7 anni della sua sentenza iniziale che ne prevedeva 35, prima di essere graziata dall’ex presidente americano Barack Obama che la fece rilasciare nel marzo 2017. Lo scorso 8 marzo era però stata di nuovo arrestata, dopo il gran rifiuto a testimoniare davanti al gran giurì dell’Eastern District della Virginia sul caso Wikileaks.
L’arresto di Manning è scattato a un anno dal rinvio a giudizio negli Usa di Julian Assange da parte di un gran giurì dello stesso distretto, per i segreti militari divulgati nel 2010. Il giudice aveva minacciato di lasciare Chelsea Manning dietro le sbarre finchè non avesse acconsentito a testimoniare o fino a quando la procura non avesse concluso le indagini. Gli Usa hanno chiesto l’estradizione di Assange che è stato preso in consegna delle autorità britanniche nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra dove si era rifugiato dal 2012.