Sono stati eseguiti otto arresti a Manduria, in provincia di Taranto, per la morte di Antonio Stano, l’uomo di 66 anni continuamente tormentato e malmenato dalla Comitiva degli Orfanelli. Di questi otto fermati, sei risultano essere minorenni e due sono maggiorenni.
Antonio Stano, secondo la procura ordinaria di Taranto, è stato sottoposto a quel «trattamento inumano e degradante» che secondo il codice penale è nelle azioni dei torturatori. Il reato di tortura è commesso da chi «mediante più condotte» con «violenze o minacce gravi, agendo con crudeltà, provoca acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o che si trovi in condizioni di minorata difesa».
Ed è proprio questo scenario che ha descritto ai poliziotti lo stesso Antonio Stano il 5 aprile, dopo che una vicina aveva segnalato un’incursione, l’ennesima, dei ragazzi della Comitiva. «Da sempre sono oggetto di scherno e a volte di aggressione da parte di ignoti. Questi a volte vengono sia di sera sia di notte e prendono a calci il portone di casa mia rivolgendomi insulti. Ricordo che quando sono entrati in casa erano cinque o sei o impugnavano delle mazze con le quali mi hanno più volte picchiato sulle mani, sui fianchi, sul ventre e sul ginocchio».
Episodi violenti che sono contenuti anche nei telefoni dei ragazzi accusati, oltre che del reato di tortura, anche per sequestro di persona, violazione di domicilio e danneggiamenti. Questi ragazzi sono stati incastrati proprio dai video trovati sui cellulari sequestrati, oltre che dalle intercettazioni e alla testimonianza di una ragazza che ha riconosciuto nelle sequenze di immagini gli autori delle incursioni a casa di Stano.
Non è ancora chiaro se la morte Antonio Stano, dopo 18 giorni di ricovero in ospedale e tre interventi chirurgici per una perforazione gastrica, abbia un nesso causale con le torture che gli sono state inflitte. Fatto sta che l’uomo, nel periodo precedente alla scomparsa, si trovava in una situazione di isolamento personale dettata dalla paura di subire altre violenze. Non usciva di casa, non mangiava da una settimana e viveva in condizioni precarie di igiene e di salute.