È stato diffuso il tanto atteso e chiacchierato Rapporto Mueller, che prende il nome dal procuratore speciale Robert S. Mueller III che lo ha prodotto. Un documento che conta ben 448 pagine, che sono il risultato dell’indagine sul Russiagate, il caso delle interferenze della Russia nella campagna presidenziale del 2016, nonché sulle presunte complicità del comitato elettorale dell’attuale presidente Donald Trump e dei suoi – ancora una volta – presunti tentativi di ostacolare la giustizia.
Delle innumerevoli informazioni, nomi, date e dati che sono presentati all’interno del rapporto, non è però possibile leggere tutto: i tre volumi che compongono il documento infatti sono stati resi pubblici in una versione censurata, in cui alcuni nomi e frasi sono coperte per tutelare la privacy di alcuni coinvolti nelle indagini e perché le indagini sono ancora in corso. Il fascicolo è stato reso accessibile a tutti – seppur con i dovuti aggiustamenti – su insistenza dei democratici, che pretendevano di leggere le oltre 400 pagine per valutare un eventuale impeachment.
Ma quali sono le conclusioni di questo rapporto? La Russia ha sistematicamente e volontariamente interferito nella corsa alle elezioni del 2016, diffondendo sul web una quantità importante di notizie false sul conto di Hillary Clinton, e al contempo il presidente Trump ha cercato di ostacolare la giustizia in almeno 11 occasioni. Ma siccome il documento è corposo e denso di informazioni, il New York Times ha stilato sette fatti-chiave da tenere a mente, per poter comprendere meglio le indagini.
1. Trump ha cercato di sabotare le indagini, ma grazie alla ribellione del suo staff non è stato possibile
Una volta venuto a conoscenza della nomina di Mueller come procuratore speciale a cui erano state affidate le indagini, nel maggio 2017, il tycoon ha provato 11 volte ad arginare il corso della giustizia. Un mese dopo ha chiesto a Donald F. McGahn II, avvocato della Casa Bianca, di licenziare Mueller, ottenendo in cambio un secco rifiuto. Due giorni dopo Trump si è rivolto ad altri due consiglieri speciali, Corey Lewandowski e Rick Dearborn, che hanno replicato il “No” di McGahn. Questi sono solo alcuni degli esempi riportati nel rapporto Mueller.
2. L’incredibile numero di bugie
Perché così tante persone hanno cambiato le proprie versioni delle dichiarazioni rilasciate sia alla stampa, sia ai federali? Nel documento vengono riportati alcuni esempi di come Trump abbia cercato di insabbiare – senza successo – sue proposte. Stando a quanto contenuto nel fascicolo, il presidente Usa, una volta resa nota dai giornalisti la sua volontà di far licenziare Mueller, ha chiesto a McGahn di smentire queste voci, ricevendo un altro rifiuto: i giornali non dicevano altro che la verità. Inoltre la portavoce della Casa Bianca, Sarah Huckabee Sanders, ha confermato di aver rilasciato dichiarazioni “basate sul niente” in più di una occasione.
3. I giornali spargono fake news? Non proprio
Nonostante il presidente Trump abbia più volte cinguettato sui social quanto i grandi giornali americani – primi tra tutti il New York Times, il Washington Post e la CNN – raccontassero fake news su di lui, le prove contenute nel fascicolo Mueller lo smentiscono.
The Washington Post and New York Times are, in my opinion, two of the most dishonest media outlets around. Truly, the Enemy of the People! https://t.co/AG3vccsJvg
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) April 19, 2019
Nel maggio 2017 per esempio il New York Times aveva rivelato al mondo la richiesta di Trump a Mr. Comey, all’epoca capo dell’FBI, di interrompere l’indagine sul consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn. Il presidente Usa non aveva esitato a twittare la sua sconfessione, affermando di non aver mai chiesto a Comey niente di simile. Eppure nel rapporto Mueller vengono evidenziate prove a sostegno della tesi portata avanti dal New York Times. In un altro caso riportato nel documento Trump ha utilizzato la critica del giornalismo come strategia legale: sempre dal suo profilo Twitter ha lanciato attacchi contro un articolo del Times che suggeriva l’idea che il suo ex avvocato Michael D. Cohen potesse collaborare con il Dipartimento di Giustizia fornendo informazioni su di lui.
The New York Times and a third rate reporter named Maggie Haberman, known as a Crooked H flunkie who I don’t speak to and have nothing to do with, are going out of their way to destroy Michael Cohen and his relationship with me in the hope that he will “flip.” They use….
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) April 21, 2018
4. Non è ancora escluso che Trump abbia tentato di intralciare la giustizia statunitense
Despite the fact that the Mueller Report should not have been authorized in the first place & was written as nastily as possible by 13 (18) Angry Democrats who were true Trump Haters, including highly conflicted Bob Mueller himself, the end result is No Collusion, No Obstruction!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) April 20, 2019
La condotta di Trump «presenta questioni complesse che impediscono di determinare in via definitiva che non si è verificata alcuna condotta criminale». Con queste parole il documento Mueller non rischiara la posizione ombrosa del presidente Usa, che anche se non formalmente accusato, non viene scagionato.
5. La scelta di evitare un interrogatorio dell’FBI si è rivelata vincente
Il numero uno della Casa Bianca ha più volte dichiarato di essere disposto a sedersi di fronte agli avvocati del team di Mueller e rispondere alle loro domande, e che fossero i suoi legali a insistere per un no. Il rapporto conferma quanto gli avvocati di Trump avessero ragione a voler impedire al loro assistito di presentarsi davanti alla commissione di Mueller: l’insieme di misteri, azioni non chiarite e dichiarazioni dubbie avrebbe portato il presidente di fronte a una serie di domande che avrebbe potuto provocargli seri problemi. Il procuratore speciale, inoltre, ha riferito di non aver insistito inviando al tycoon un mandato di comparizione perché la battaglia legale che ne sarebbe scaturita avrebbe rallentato le indagini.
6. Nessuna prova di cospirazione, ma abbastanza dubbi per continuare a investigare
Mueller chiarisce senza ombra di dubbio: la Russia ha segretamente manipolato le elezioni presidenziali del 2016. Per quanto riguarda invece la partecipazione di Trump o chi per lui, non ci sono certezze. Nonostante i ripetuti e insoliti contatti tra il comitato del tycoon e funzionari e altre personalità russe, non viene dimostrata la volontà di cospirazione.
Non basta infatti evidenziare che le due parti fossero in contatto tra loro, ma è necessario avere le prove di un coordinamento tra le due compagini. Per esempio, era noto ormai da tempo che il giovane George Papadopoulos, membro del comitato elettorale, fosse a conoscenza del fatto che i russi avevano ingenti quantità di materiale compromettente riguardante Hillary Clinton, sotto forma di email. Quello che il rapporto Mueller racconta di inedito è che lo stesso Papadopoulos riferì di un’importante offerta da parte del Cremlino per lavorare con Trump al sabotaggio della sua rivale Clinton.
7. Trump dovrebbe ringraziare la grande copertura mediatica dei suoi danni
Nonostante il presidente degli Stati Uniti non veda di buon occhio l’attenzione che le grandi testate gli hanno riservato in questi due anni, in realtà è grazie a loro se il rapporto Mueller non ha suscitato grande scandalo. Il documento infatti precisa e analizza eventi già conosciuti nella maggior parte dei casi, proprio grazie ai giornali tanto odiati da Trump. Probabilmente se nessuno fosse stato a conoscenza di quanto raccontato nel fascicolo, il suo impatto sulla società statunitense sarebbe stato molto più forte e avrebbe comportato conseguenze ben più gravi per The Donald.