L’Europarlamento ha approvato la nuova direttiva per il diritto d’autore in rete nonostante la protesta delle multinazionali del digitale. I favorevoli sono stati 348, i contrari 275 e gli astenuti 36.
Il Parlamento ha approvato le norme sul #copyright: lo scopo della direttiva è assicurare che il diritto d'autore sia protetto anche online. Per approfondire ➡️https://t.co/xqigUfcoOq pic.twitter.com/3uLcNsNuAw
— Parlamento europeo (@Europarl_IT) March 26, 2019
Quelli di queste settimane sono stati giorni “caldi” con polemiche e scontri tra chi è favore a una normativa che restringa il potere dei colossi del web e chi invece tutela a colpi di cinguettii la libertà di Internet. Il testo finale è frutto di più di tre anni di contrattazioni e numerose modifiche e, dopo il voto del 26 marzo, sarà oggetto di un passaggio formale del Consiglio e della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Una volta superate tutte le formalità, sarà adottata dai Paesi membri entro due anni.
I lavori sulla tutela del diritto d’autore sono iniziati nel 2016. L’ultimo testo mirato risaliva al 2001 quando Internet e soprattutto le grandi piattaforme non avevano scombinato le regole sulle modalità di distribuzione e accesso ai contenuti. La “battaglia virtuale” vede due antagonisti: da una parte i giornali, le case editrici, le case discografiche e le case cinematografiche; dall’altra le grandi piattaforme come Google e Facebook che si spartiscono gran parte del business della pubblicità online. Questo mercato vale in Europa 48 miliardi di euro all’anno e comprende le inserzioni, ma soprattutto la distribuzione dei contenuti altrui. La normativa aiuterà i primi ad avere un maggiore potere contrattuale al tavolo con i secondi. L’obiettivo è che le piattaforme online non debbano trarre guadagni dalla condivisione di prodotti senza aver dato prima un compenso a chi ne è autore.
Per saperne di più sulla direttiva sul #copyright al voto oggi, guarda il video 📺⬇️ pic.twitter.com/9RFaqP7i5p
— Parlamento europeo (@Europarl_IT) March 26, 2019
Esistono già piattaforme a pagamento (come Spotify) che prevedono un pagamento equo dei diritti d’autore. L’esistenza di quelle gratuite invece contribuisce alla crescita del value gap e cioè il divario creato tra quanto queste guadagnano nella distribuzione dei contenuti e le remunerazioni ottenute dagli autori. All’interno del testo approvato esistono ancora punti poco chiari. Secondo la direttiva, non sarà necessario stabilire alcun compenso per singole parole o estratti molto brevi, i cosiddetti snippet. La legge tutelerà le startup con meno di tre anni, con un fatturato annuale inferiore a dieci milioni di euro e un traffico mensile medio di visitatori unici inferiore a cinque milioni. Queste però dovranno comunque rispondere tempestivamente alle segnalazioni dei detentori dei diritti, far di tutto per ottenere le autorizzazioni e impedire un ulteriore caricamento del materiale segnalato. La legge inoltre non offre un quadro chiaro su quali strumenti utilizzare o in che misura tali diritti debbano essere tutelati. La direttiva non impone filtri, ma lascia alle piattaforme la libertà di farlo.
I punti sotto accusa sono: l’articolo 11 che consentirà agli editori di stringere accordi con le piattaforme per far circolare il materiale a pagamento e l’articolo 13, che obbliga le piattaforme a installare sistemi di controllo per bloccare la condivisione. Le piattaforme dovranno intervenire prima che il contenuto vada online in modo che si accerti che il prodotto non violi le regole. Per i colossi questo significa porre dei limiti alla libertà degli utenti di pubblicare qualsiasi cosa. In sostanza per pubblicare contenuti protetti dal copyright, è necessario accordarsi con i detentori dei diritti e soddisfare le loro richieste. Se questo non accadesse bisognerà dimostrare di aver compiuto i massimi sforzi e agire tempestivamente qualora venissero pubblicati contenuti illeciti. La paura è che i Big del virtuale decidano di non pubblicare più nulla per paura di incappare in illeciti. Dall’altra parte però gli editori rivendicano il diritto di monetizzare gli sforzi e il lavoro altrui senza dover rinunciare alla diffusione online e ottenere gli stessi benefici che hanno nel mondo offline. Attualmente infatti gli artisti e i giornalisti assistono alla libera circolazione del loro lavoro e questo non consente loro di guadagnarsi da vivere.
Da questo accordo sono escluse caricature, parodie e citazioni, ma sono anche tutelate biblioteche, musei, materiali didattici e il data mining dei testi per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Nonostante questo gli internauti ne hanno approfittato per scatenarsi con gif e meme:
Approvata la riforma sul #Copyright
Ora, con tutto quello che scopiazzate a destra e a manca, sarete costretti vendere casa 🤣— g 🎓 (@prof_giuseppe) March 26, 2019
#Copyright Da oggi citerò solo gente morta da minimo 100 anni. Giusto per non rischiare. 😀Si scherza.
— Marco dallaSardegna (@MarcodallaSarde) March 26, 2019
#copyright #SaveYourInternet io che lascio tutto e me ne vado via dalla cina 2.0 pic.twitter.com/CgDewGR33h
— ciliejina🍒|𝒑𝒓𝒆𝒄𝒊𝒐𝒖𝒔 𝒌𝒐𝒐𝒌𝒐𝒐~ (@yatoeyes) March 26, 2019
Mood di qualsiasi studente oggi.#copyright #wikipediablackout pic.twitter.com/SUWD80J1Cd
— Mercoledì Adams (con 1 d sola) (@LauAda98) March 25, 2019
Il Caso Wikipedia e lo scontro politico
Il testo specifica che le opere su enciclopedie online a scopi non commerciali, come Wikipedia, sono escluse dalle nuove regole. Nonostante ciò la piattaforma ha voluto contestare la direttiva definendola un limite alla libertà del web. In politica invece ci sono state diverse divisioni interne al Parlamento europeo, a partire dai popolari del Ppe e i socialisti di S & D. Il governo M5S-Lega si era espresso contro la nuova normativa sul diritto d’autore in rete già nel livello dei governi, finendo in minoranza davanti all’approvazione dell’ultimo compromesso franco-tedesco, che ha reso possibile il voto finale a Strasburgo. Gli eurodeputati del M5S hanno sostenuto il “no” parlando di «una ferita alla libertà della rete».