L’ Urlo di Edvard Munch, l’opera più famosa del pittore norvegese, si è ammalato: sta diventando grigio, va sbiadendo e il Museo Munch di Oslo non lo espone più e sceglie di tenerlo al buio per precauzione. Responsabile di questa patologia sembrerebbe essere la luce, che se da un lato regala brillantezza ai colori dei dipinti, dall’altro rappresenta da sempre una minaccia micidiale per l’arte figurativa.
Ad indagare sul morbo che affligge l’opera l’Urlo, il museo di Oslo ha chiamato i ricercatori italiani del Molab, il laboratorio mobile del Cnr con sede a Perugia. Attraverso la spettroscopia molecolare, gli scanner X e la riflettografia infrarossa, i ricercatori hanno individuato la composizione delle molecole dei materiali utilizzati da Munch nel suo quadro: gialli di cromo e cadmio, rosso mercurio, blu oltremare, verde cromo, violetto di manganese. E dalla loro indagine è risultato che il mutamento di colore del quadro deriva dall’instabilità delle formulazioni a base di solfuro di cadmio, che l’artista usò per i diversi gialli e dai due tipi di rosso di natura organica utilizzati, che con la luce tendono a scolorirsi.
L’OPERA
L’ “Urlo” di Munch, Der Schrei der Natur in tedesco (Urlo della natura), è stato dipinto nel 1910. Misura 83 per 96 centimetri, è fatto di colori a olio e tempera, impressi su un foglio rigido incollato sopra un cartone, a sua volta saldato su uno strato di legno.Sono le stesse parole del pittore a raccontare l’origine di questo dipinto:
«Una sera passeggiavo lungo un sentiero con due amici. Era il tramonto. Il cielo divenne di colore rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai al parapetto stanco morto, e sul fondo del cielo nero-azzurro e sulla città vidi posarsi nuvole rosse come sangue e lingue di fuoco. I miei amici proseguirono e io restai indietro tremante di angoscia. E sentii un grido attraversare la natura. Dipinsi questo quadro, dipinsi le nuvole come sangue vero. I colori stavano urlando».
Siamo su una strada che scivola lungo il fianco della collina di Ekeberg, un piccolo quartiere di Oslo. Munch rende il cielo con lunghe pennellate sinuose che avvampano e vibrano, mentre un vortice terrificante sembra abbattersi sulla città. È uno sfondo lugubre sul quale si staglia un’immagine umana, quasi un fantasma, con la testa calva, simile a un teschio, il colore bianco del viso, gli occhi allucinati, le mani attorno al capo in segno di disperazione e la bocca deformata in un grido d’angoscia. In fondo alla strada sono dipinti due passanti ignari di tutto, indifferenti, espressione della falsità dei rapporti umani. La potenza della scena conferisce all’opera un significato universale, sempre attuale. È l’essere umano, lo Spirito dell’Uomo che grida la sua angoscia di vivere, un grido sordo, doloroso, disperato. Le onde sonore del grido mettono in movimento tutto il quadro: vibrano dal corpo dell’uomo al paesaggio e al cielo. La composizione è impostata lungo la diagonale tracciata dalla linea del ponte, in apparente e voluto disequilibrio, a voler sottolineare la mancanza di un punto di appoggio fermo, sicuro, stabile.
«Non mi riconoscete, ma quell’uomo sono io»
LE QUATTRO VERSIONI DE “L’URLO”
L’Urlo, uno dei quadri più famosi dell’espressionismo nordico, è stato dipinto da Munch in tre versioni a olio realizzate tra il 1893 e il 1910 (conservate due presso la Galleria Nazionale di Oslo, e una – la più recente – al Munch Museum) e una versione a pastello conservata presso un anonimo collezionista e in una serie di incisioni. Il dipinto fa parte di una serie di opere denominate il Fregio della vita, in cui il pittore esplora i temi dell’amore, della paura, della morte, della malinconia e dell’ansia.
Ci troviamo nel momento cruciale del passaggio di secolo: le certezze dell’età ottocentesca entrano in crisi di fronte alle prepotenti istanze del nuovo uomo contemporaneo. Il pluralismo delle idee, la molteplicità di prospettive, il relativismo come approccio alla realtà rappresentano l’avanzare del Nuovo. L’uomo scopre di conoscere una minima parte del mondo in cui vive e non ritrova più se stesso e la propria coscienza.
Il Museo Munch possedeva tre versioni del quadro, una esposta, altre due tenute in magazzino. Sottoposti a restauro per arginare i danni causati dall’esposizione all’umidità, il 23 maggio 2008 le due opere sono tornate in esposizione alla Galleria Nazionale di Oslo.
La versione a pastello è invece divenuta famosa per aver superato i record di tutti i tempi di vendita all’asta da Sotheby’s. E’ stata infatti aggiudicata per 120 milioni di dollari il 3 maggio del 2012. È l’unica a presentare sullo sfondo una figura affacciata al ponte che si staglia contro il cielo infuocato dai colori del tramonto. La cornice è originale, dipinta dall’artista, e riporta la poesia che ispirò il soggetto, alcuni versi scritti da Munch per descrivere il sentimento di angoscia e terrore che lo aveva colto mentre camminava al tramonto con alcuni amici: «La verità è che si vede con occhi diversi di volta in volta. Al mattino vediamo le cose in un modo, alla sera in un altro, e questo dipende dal nostro modo di essere. Uno stesso soggetto viene perciò percepito in tanti modi differenti ed è questo che rende l’arte tanto affascinante».
VULNERABILE BELLEZZA: IL COMUNE DESTINO DEI DIPINTI OTTOCENTESCHI
Nel Rinascimento i pittori usavano colori naturali e sperimentati nel tempo. I guai per il mantenimento dei quadri sono cominciati nell’Ottocento quando gli artisti hanno iniziato ad utilizzare i prodotti sintetici: erano luminosi e brillanti, in particolare i gialli di cromo e cadmio, i rossi di eosina e i blu di cobalto. Gli Impressionisti se ne entusiasmarono, specialmente Van Gogh ne fece largo uso. Adesso si è scoperto che alcuni di questi pigmenti sono instabili alla luce e che anche i quadri del pittore olandese stanno cambiando.
Nel quadro di Van Gogh, Fiori in un vaso blu, sempre i ricercatori del Molab hanno identificato alterazioni verso il grigio del giallo di cadmio. Nella Natura morta con un cavolo di James Ensor i raggi X hanno invece rivelato che negli strati gialli si stanno gonfiando microscopici globuli bianchi. Danni sono emersi anche sulla Gioia di vivere e sul Quadro di fiori di Henri Matisse
IL PROBLEMA DELLA LUCE
Quando la luce colpisce un oggetto alcune lunghezze d’onda vengono assorbite e altre riflesse. Noi vediamo il colore grazie a quelle riflesse e se, ad esempio, al nostro occhio risulta blu significa che l’oggetto riflette le onde luminose blu e assorbe le altre. Ma la luce è energia e sotto il suo effetto gli elettroni di molecole poco stabili vengono strappati via. La materia è modificata e noi vediamo colori alterati. È ciò che sta accadendo all’Urlo e ad altre centinaia di opere ottocentesche in Europa.