Il basket scorre a fiumi tra i portici di Bologna. Le arterie del centro sono parte di un cuore che pompa il sangue della palla a spicchi, un amore che nella città delle due torri non conosce rivali; da quelle parti persino il calcio passa in secondo piano. Alberto Bucci viveva la pallacanestro come un uomo a cui Bologna ha dato i natali, che quella passione la conosceva, la respirava e ne onorava lo spirito. Un figlio della Bolognina, il rione in cui vide la luce anche un altro uomo chiave della Virtus, quell’Alfredo Cazzola che fu patron nell’era d’oro culminata con l’Eurolega del 1998.
La carriera da allenatore di Alberto Bucci comincia a 25 anni proprio nel capoluogo dell’Emilia, non sulla panchina della Virtus, ma alla guida della Fortitudo, dove si ritrova alla guida di un gruppo demotivato che vive come un’agonia l’ultima parte dell’annata 73/74. Bucci subentra al mitico Dido Guerrieri, gli spareggi per non retrocedere si rivelano fatali e la squadra mantiene la categoria solo grazie al ripescaggio. Bucci combatte dentro e fuori dal campo, forgia il suo carattere perché la malattia lo costringe a farlo. A nemmeno 30 anni la poliomielite entra nella sua vita senza bussare, gli lascia un segno ad una gamba che lui mostra senza riserve, calzoncini corti e sorriso smagliante in barba alle nefandezze del destino.
La stagione seguente Bucci riparte da Rimini e dalla serie D. Sono gli anni in cui studia, cresce e trova una dimensione tecnica. Una tappa fondamentale per la sua formazione, un susseguirsi di successi che collimano in un traguardo che l’allora Sarila Rimini non aveva mai tagliato nella sua vita societaria: la finale vinta contro l’Olimpia Firenze vale la promozione in A2.
Nel 1979 arriva la chiamata di Fabriano, squadra ambiziosa che sogna di conquistare un posto in serie A. Bucci assume la guida del progetto e nelle prime due stagioni lavora in armonia con la società, determinato a costruire un collettivo degno del salto nel massimo campionato. Il traguardo che vale l’A1 viene tagliato nel 1982: a 34 anni Bucci è un tecnico consacrato ai vertici del basket italiano.
Nel 1983 in casa Bucci squilla il telefono. Dall’altra parte del filo c’è l’avvocato Gianluigi Porelli, già uomo simbolo del basket italiano e dotato di un particolare fiuto per gli uomini di successo. Bucci non è solo preparato, è passionale e sfrontato, ha quel pizzico d’incoscienza che affascina e invoglia a scommetterci sopra. La Virtus Bologna lo mette sotto contratto, gli consegna una rosa con Roberto Brunamonti in regia e due americani che rispondo ai nomi di Jan Van Breda Kolff – ala di talento proveniente dai New Jersey Nets – e il confermatissimo Elvis Rolle, il gigante nativo delle Bahamas adorato dalla piazza bolognese. L’assistente allenatore è un giovane Ettore Messina. L’obiettivo è uno e uno soltanto: lo scudetto della stella.
La stagione regolare 1983/84 si conclude con Bologna al secondo posto dietro la Simac Milano. Nei playoff la Granarolo Felsinea fa fuori prima la Febal Napoli e poi la Berloni Torino, prima di trionfare nella finalissima proprio al cospetto dell’Olimpia. Il 77-74 con cui la squadra di Bucci si aggiudica gara 3 vale l’inchiostro indelebile sui libri di storia, con la stella del decimo scudetto cucita una volta per tutte sul petto delle V Nere.
Seguiranno altri traguardi, altri successi, non solo nella sua Bologna. Basket che sfiora la perfezione in quel di Pesaro, uno scudetto accarezzato a Livorno nel 1989 ed un ritorno in Virtus che coincide con altri due titoli nazionali. E nel bel mezzo di tutto ciò una sola costante, quella voglia di lottare che non l’ha mai abbandonato anche lontano dal parquet.
« Sto combattendo, ma è dura », aveva confidato agli amici di una vita nei giorni che ne hanno preceduto la morte. Solo nel 2016 l’ennesimo atto d’amore con la Virtus di cui diventa il presidente, esattamente un anno dopo l’ingresso nella Hall of Fame del Basket Italiano. Questo perché guardare avanti era nel suo DNA, per lui prendere di petto la vita era il pane quotidiano, sottrarsi ai doveri morali non era parte del suo codice etico. Alberto Bucci ha smesso di lottare la sera del 9 marzo, stretto dall’abbraccio della moglie e delle tre figlie che adorava. I funerali del 12 marzo a Rimini hanno richiamato tanti big dello sport nostrano. Anche Carlo Ancelotti ha fatto di tutto per esserci e rendere omaggio a quello che considerava prima di tutto un amico. Il basket italiano ammaina le bandiere del tifo per issare quella della riconoscenza, unito in un semplice ma sincero grazie.