«Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che si sa o che si tace, che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero e coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero».
Così Pier Paolo Pasolini definiva sulle pagine del Corriere della Sera, il 14 novembre 1974, il mestiere dell’intellettuale. Ma a quasi cinquant’ anni di distanza la definizione è ancora attuale? Tanti studiosi vaticinano la morte di questo ruolo, insieme alla morte della modernità, della storia, della politica, della verità e delle ideologie. Altri, d’altro canto, sostengono che dell’intellettuale come “coscienza critica” ce ne sia ancora bisogno e che la sua estinzione minerebbe la democrazia. Una figura, oggi, dal profilo sbiadito, ambiguo. Un termine talmente abusato, da risultare insignificante. La storia di un “mestiere” fatta di mutamenti, smanie di potere, titubanze, doppiezze, tradimenti, ma anche creatività, impulsi innovativi allo sviluppo politico e sociale, generosità ideale, capacità di sacrificare libertà e vita per le proprie idee. L’intellettuale: un attore sociale ormai senza futuro?
Nascita di una parola
La parola intellectuel entra nel linguaggio comune con il grande scontro politico e culturale intorno all’affaire Dreyfus, che vede l’ufficiale Alfred Dreyfus dello Stato Maggiore dell’esercito francese accusato ingiustamente dai servizi segreti di spionaggio a favore dell’impero Tedesco.
Il 13 gennaio del 1898 lo scrittore Émile Zola pubblica sul giornale L’Aurore littérarie, artistique, sociale, la famosa lettera à M.Félix Faure, Président de la Republique, dal titolo: J’accuse. «Dietro le mie azioni non si nascondono né ambizione politica, né passione di settario – scrive Zola – Sono uno scrittore libero, che ha dedicato la propria vita al lavoro, che domani rientrerà nei ranghi e riprenderà la propria opera interrotta […] E per i miei quarant’anni di lavoro, per l’autorità che la mia opera ha potuto darmi, giuro che Dreyfus è innocente». E conclude:
«Sono uno scrittore libero, che ha un solo amore al mondo, quello per la verità».
Il giorno seguente, il 14 gennaio, appare sullo stesso giornale una dichiarazione firmata da un gruppo eterogeneo di scrittori, scienziati, docenti universitari, professionisti, che protestano per la violazione delle forme giuridiche nel processo Dreyfus. La dichiarazione ha come titolo La protestation. Appare per tre giorni con il titolo Les protestataires, finché il 23 gennaio il ministro Clemenceu, facendo l’elogio dei firmatari della dichiarazione, scrive: «Non è un segno che tutti questi intellettuali venuti da tutte le parti dell’orizzonte, si raggruppino intorno a una stessa idea?». Ed ecco che dalla penna di Clemenceu la parola intellectuel si trasmette al linguaggio politico e giornalistico, fino a diventare d’uso comune.
Genealogia dell’intellettuale
Questo non significa, ovviamente, che la nascita della figura dell’intellettuale combaci con l’uso comune del suo sostantivo. Sotto altri nomi e con caratteristiche diverse, la sua figura ha una genealogia molto antica. I suoi antenati possiamo ritrovarli lungo l’intera storia. Ma senza voler risalire troppo indietro, non c’è dubbio che i primi intellettuali moderni siano i philosophes del Settecento e gli idéologues dei primi decenni dell’Ottocento. Non importa se oggetto di ammirazione o vituperio, corteggiato o temuto, l’intellettuale in quell’epoca era visto come un attore sociale in grado di procurarsi ascolto per le sue idee, di influenzare l’opinione pubblica e quindi di saper persuadere, guadagnandosi accoliti o neutralizzando avversari. Non è un caso infatti che gli intellettuali fossero quasi sempre uomini di scrittura. Tant’è che in passato gli stessi venivano definiti uomini di penna, hommes de lettres, literaten. Ma anche pensatori, filosofi, uomini di cultura, meno of ideas, men of intellect, geistigen, sottolineando la loro capacità di pensiero e di accesso alla conoscenza.
«Il comun determinatore degli intellettuali è l’eterodossia»
La storia delle idee è impensabile al di fuori della storia degli intellettuali, che hanno reso possibile il cambiamento e l’innovazione. È inconcepibile senza ricollegarsi a quegli intellettuali che, con il loro pensiero indocile, anzi spesso sovversivo, hanno contribuito a mettere in crisi i valori fondanti dei dogmi, delle credenze, dei costrutti ideologici vigenti nelle società e culture di appartenenza. Ma benché la vocazione di questi uomini sia stata, in sostanza, la stessa, ossia la vocazione a dissentire, pensando diversamente, lo stendardo ideale che innalzavano non era il medesimo. E neppure il bersaglio del loro dissenso. Per rendersene conto basta ripercorrere l’elenco delle qualifiche che nel corso della storia sono state loro attribuite: cinico, stoico, eretico, mistico, agnostico, scismatico, millenarista, protestante, melancolico, utopista, illuminista, anarchico, socialista.
Ma non è una forzatura accomunare in un’unica famiglia uomini che esprimono correnti di pensiero nate in contesti storici tanto differenti? Che cos’hanno in comune, per esempio, uomini come il cinico Diogene di Sinope, il mistico Suso, l’eretico Bruno, l’utopista Moro, il socialista Marx, l’esistenzialista Sartre e l’apocalittico Pasolini? «La loro eterodossia – ha risposto Tomas Maldonado nel suo saggio “Che cos’è un intellettuale?” edito da Feltrinelli nel 1995 – E per eterodossi si deve intendere tutti coloro che, in un modo o nell’altro, agiscono in contrapposizione ai dogmi, ai corpi dottrinali, ai modelli di comportamento, agli ordinamenti simbolici, e anche agli assetti di potere esistenti. Tutta gente che voleva fare cose nuove. Ribelli, oppugnatori, antagonisti, trasgressivi, insomma dissidenti per vocazione, e in certi casi apertamente eversivi, rivoluzionari. La tradizione degli eterodossi è sicuramente la tradizione degli intellettuali».
Ma l’eterodosso, spiega Tomas Maldonado nel suo saggio, non è l’unico modello d’intellettuale che la storia ci ha lasciato.
Tomas Maldonado, per una «galleria degli intellettuali»
- L’intellettuale mandarino: ceto intellettuale dei grandi funzionari civili e militari nato nell’impero cinese. Oggi indica quegli intellettuali che, in diversi ambiti e livelli istituzionali, partecipano all’elaborazione di valori legittimanti lo status quo.
- L’intellettuale – esperto: il suo antenato è il “consigliere del Principe” di machiavellica memoria. È una figura competente che viene interpellata da un committente – pubblico o privato – per coadiuvarlo nel risolvere problemi o prendere decisioni.
- L’intellettuale politico: lungi dal fornire una conferma al vecchio sogno platonico che voleva “i saggi al potere”, l’intellettuale politico – scrive Tomas Maldonado – ha spesso tradito la sua condizione di saggio e si è comportato come un normale politico.
- L’intellettuale organico di Gramsci: secondo la definizione di Gramsci, quell’intellettuale che stabilisce un rapporto organico con il partito a cui appartiene e di cui si fa portavoce.
- L’intellettuale minimalista: ha uno stile da confessionale, parla all’orecchio della gente. Di solito fa uso di aforismi, di massime che dovrebbero lasciar intravedere una bonaria e distaccata saggezza sul vivere quotidiano degli uomini. I suoi temi preferiti appartengono ai “minima-moralia”. Ai suoi lettori, ascoltatori o telespettatori somministra consigli di ogni sorta: sull’amore, l’educazione degli figli, l’invidia, la vanità, il rancore. Imita maldestramente ciò che è stato detto dai grandi esponenti della tradizione moralista di tutti i tempi e luoghi.
- L’intellettuale con la sindrome di Stentore: il fatto che oggi la sua voce abbia perso ascolto, appannata da una miriade di altre voci, è per l’intellettuale, assiduo frequentatore della tv, motivo di frustrazione. Erroneamente quindi egli crede che sia una questione di decibel e in mezzo a una foresta di voci che ammutoliscono la sua, egli opta per l’urlo stridente. Rifiuta la pratica dell’argomentazione e si abbandona a quella della vociferazione.
- L’intellettuale-sacerdote o faro guida: considerato ormai una specie in via d’estinzione, è un’anomalia che si è stranamente protratta nei secoli oppure un ruolo che ha una sostanziale ragion d’essere nelle esigenze della dinamica storica, e dunque le sue difficoltà sono solo contingenti? Certo, alla sensibilità moderna alcuni aspetti del comportamento dell’intellettuale – sacerdote possono apparire espressione di megalomania. Da dove viene altrimenti la sua tendenza a credersi l’unico depositario della chiaroveggenza universale, l’unico in possesso della chiave giusta per interpretare e predire il divenire storico? Da dove nasce la sua smania di comparire come il surrogato laico dell’occhio di Dio che, se non tutto vede, ha pretesa di tutto intravedere? Ma dove andremo a finire se si ipotizza un mondo dove potrebbero essere messi in fuga o in ridicolo tutti coloro che, bene o male, hanno cercato di far sentire la loro voce sulle questioni che attanagliano la vita e il destino degli uomini?
Un ruolo smarrito
L’intellettuale oggi risulta sempre meno credibile, meno all’altezza delle aspettative che si hanno nei suoi confronti. Il suo ruolo è in crisi perché l’influenza sulla vita o l’opinione pubblica che giustificava la sua esistenza, è stata, in pratica, ridotta al minimo. Da tempo si sta verificando un progressivo indebolimento del tradizionale ruolo oracolare dell’intellettuale, come giudice supremo degli sviluppi storici o come zelante guardiano dei diritti civili e umani. E questo perché – dice Maldonado: «Tutta la società è diventata a suo modo oracolare. Tv, radio, stampa, web fungono da oracoli del nostro tempo. I bisogni umani di divinazione, vaticini, responsi, predizioni, rassicurazioni, propiziazioni, norme di comportamento, un tempo soddisfatti (o quasi) dagli oracoli, sono ora compito dei media». Ma lo studioso conclude il suo saggio con una speranza: «E’ necessario mettere in salvo alcune delle funzioni tradizionali dell’ “intellettuale – sacerdote”. La sua morte potrebbe lasciar spazio alla nascita di un’altra figura: quella del filosofo, il cui impegno consisterebbe in una socratica destabilizzazione dei discorsi della polis. Il filosofo di domani dovrà rimanere fedele al suo ruolo di risvegliatore di coscienze».