Si è da poco conclusa l’edizione numero 41 della Dakar, il rally raid più famoso del mondo. Originariamente chiamata Parigi-Dakar, ormai la gara non tocca più nessuna delle due città: dal 2009 la competizione ha attraversato l’Oceano Atlantico e si è trasferita in Sud America, dopo che le minacce terroristiche in Mauritania avevano reso il percorso originale, pressoché identico dal 1979, impraticabile. Argentina, Bolivia, Cile e Uruguay sono stati tutti attraversati dalla gara, ma la novità di quest’anno è stata che tutte le 10 tappe (4 in meno della scorsa edizione) si sono disputate nello stesso paese: il Perù. Nonostante l’itinerario ridotto, la Dakar 2019 si è dimostrata particolarmente difficile, tanto che in tutte le cinque categorie, moto, quad, auto, UTV (noti anche come side-by-side, piccoli veicoli fuoristrada) e camion, poco più della metà dei partenti sono giunti al traguardo. In totale, 334 equipaggi hanno visto il via, ma solo 179 sono giunti al traguardo di Lima. Perciò, la scelta di limitare il percorso a un solo paese non ha tolto nulla alla sfida, da sempre estremamente impegnativa, della Dakar. Dune di sabbia, canyon montani e la polvere che soffoca i motori in quota sono state solo alcune delle cause di molti ritiri in tutte le categorie.
L’edizione 2019
Tra le moto, l’edizione 2019 della Dakar ha vissuto di una sfida continua ed equilibrata tra i tantissimi protagonisti. Almeno una decina di piloti diversi hanno avuto una concreta possibilità di trionfare, ma alla fine la costanza e l’esperienza dell’australiano Toby Price, già vincitore nel 2016, gli hanno permesso di portare a casa la gara, chiudendo in testa anche l’ultima prova speciale sul traguardo di Lima. Price ha preceduto i vincitori delle scorse due edizioni, l’austriaco Matthias Walkner e il britannico Sam Sunderland. Con questa vittoria il costruttore austriaco KTM si porta a 18 vittorie consecutive nel rally più duro del mondo.
Nella categoria dei quad, istituita nel 2009 con la prima edizione sudamericana, ha dominato Nicolás Cavigliasso, capace di portarsi a casa 9 vittorie sulle 10 speciali disputate. Al suo secondo anno nella categoria, l’argentino, già secondo nel 2018, ha imposto un ritmo insostenibile per tutti e ha rifilato quasi due ore di distacco a Jeremias González Ferioli. A completare un podio tutto argentino è Gustavo Gallego.
Prima affermazione della Toyota tra le auto: l’emiro qatariota Nasser Al-Attiyah, personaggio eclettico nel mondo dello sport (vanta anche una medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Londra 2012 nello skeet, una disciplina del tiro al piattello) ha conquistato la sua terza affermazione nel Rally. La vittoria di quest’anno è arrivata con il terzo marchio differente (le precedenti erano state nel 2011 con Volkswagen e nel 2015 con Mini). Secondo posto per lo spagnolo Nani Roma, vincitore di una Dakar in auto e una in moto, mentre terzo ha chiuso il francese Sébastien Loeb, leggenda dei rally con 9 titoli mondiali in bacheca, ma ancora alla ricerca della sua prima affermazione nella classica del raid.
Tra gli UTV, la categoria più recente della Dakar, l’ex motociclista cileno Francisco López Contardo ha regolato lo spagnolo Gerard Farrés Güell, anch’egli fino all’anno scorso protagonista delle due ruote, e il brasiliano Reinaldo Varela, vincitore nel 2018.
I camion, infine, hanno visto un dominio incontrastato dei Kamaz russi, con il caposquadra Eduard Nikolaev che ha condotto una gara accorta ma precisa e si è aggiudicato la sua quarta vittoria alla Dakar, precedendo il compagno di squadra Dmitry Sotnikov. Terzo l’olandese Gerard de Rooy, a bordo di un camion dell’italiana Iveco.
La sfida dei continenti
La decisione dell’ASO, l’ente che organizza la Dakar, di trasferirsi in Sud America è maturata dall’entusiasmo dimostrato da Argentina e Cile nel voler ospitare la competizione quando, nel 2008, si è stati costretti a cancellarne l’edizione in seguito agli attentati terroristici ai danni di cittadini francesi in Mauritania. Hubert Auriol, un veterano della maratona africana, non ha però gradito il cambio di continente e ha scelto di organizzare, in concomitanza con la competizione originale, una gara alternativa che mantenesse il percorso più vicino possibile a quello storico. Non potendo utilizzare il nome Parigi-Dakar, divenuto ormai marchio registrato dall’ASO, il rally è stato battezzato Africa Race, con l’aggiunta successiva del termine Eco, per sottolineare il focus sulla sostenibilità e la vicinanza allo spirito avventuroso originario.
Tra le due competizioni non si è mai stabilita una vera rivalità, perché il prestigio della Dakar ha permesso alla competizione sudamericana di attrarre le case ufficiali e i migliori piloti del rally raid mondiale. Pur non facendo parte del calendario del FIA World Cross-Country Rally Championship, la Dakar resta comunque la competizione regina per i professionisti. L’Africa Eco Race si è invece affermata tra i semi-professionisti, soprattutto quelli che non sarebbero mai riusciti a competere per la vittoria in Sud America, e tra gli amatori più puri. Ad aiutare in questo senso sono le cifre richieste per la registrazione dei partecipanti, inferiori di alcune migliaia di euro rispetto alla Dakar. Per esempio, i motociclisti hanno pagato quest’anno circa 11.000 euro per l’iscrizione all’Africa Eco Race, contro i 15.000 della competizione sudamericana. Il divario resta costante anche nelle altre categorie, più costose.
Da sottolineare che nel 2019 uno dei migliori motociclisti italiani nel raid, Alessandro Botturi, ha scelto di competere nell’Africa Eco Race e ha trionfato, battendo il veterano norvegese Pal-Anders Ullevalseter (già secondo assoluto nella Dakar del 2010) e succedendo all’altro italiano Paolo Ceci, vincitore nel 2018. Vittoria tra le auto per il 72enne francese Jean-Pierre Strugo, mentre nella sottoclasse dei camion, che competono nella stessa categoria delle autovetture, ha colto la sua prima affermazione la portoghese Elisabete Jacinto.
Questa sorta di “guerra dei due mondi” che contrappone due tra i rally raid più importanti del mondo pressoché nello stesso periodo (quest’anno, dal 31 dicembre al 13 gennaio l’Africa Eco Race, dal 7 al 17 gennaio la Dakar) non è in realtà una vera sfida: le due competizioni viaggiano su livelli talmente diversi che sono state rarissime le occasioni in cui la gara organizzata da Auriol ha “rubato” protagonisti alla Dakar. Talvolta, alcuni piloti che hanno sofferto diverse delusioni e ritiri in Sud America hanno provato l’avventura africana: è il caso di Gerard de Rooy, due volte vincitore alla Dakar tra i camion e unico reale antagonista dell’armata russa dei Kamaz ufficiali. Deluso da continui ritiri prematuri con il suo Iveco, nel 2018 de Rooy ha scelto di correre l’Africa Eco Race, raggiungendo per primo il traguardo in Senegal. Nel 2019 però ha scelto di non difendere il titolo e di tornare in Sud America a sfidare i russi.
La Dakar resta quindi la competizione regina del rally raid mondiale, per prestigio e per qualità dei partecipanti. Certo, a molti mancheranno i paesaggi africani: i percorsi tecnici in Marocco e Algeria, le dune insidiose di Mali e Mauritania, il caldo torrido del Sahara e lo spettacolare arrivo a Dakar, con le immagini indimenticabili dei protagonisti a correre a fianco del famoso lago rosa e sulla spiaggia in riva all’Oceano Atlantico. Il Sud America però offre scenari molto simili: l’immenso deserto di Atacama in Cile e le dune peruviane dell’edizione 2019 sono comunque riuscite a mettere in difficoltà i partecipanti. Non si sono più raggiunti gli oltre 500 iscritti degli ultimi anni africani, ma ogni volta la Dakar riesce comunque a riunire un gruppo nutrito e variegato di coraggiosi, pronti ad affrontare il rally più duro del mondo.