Una strage poco nota. «Nel 2006 ci fu un sondaggio condotto su 1024 studenti milanesi tra i 17 e i 19 anni: per il 60% di loro la bomba a Piazza Fontana era stata messa dalle Brigate Rosse, mentre il 20% dava la colpa alla mafia. Meno del 10% era in grado di individuare la matrice dell’eversione nera». Questi numeri rappresentano secondo Mirco Dondi, storico dell’Università di Bologna, un’eco che perfino nella città cratere della strategia delle tensione non si è ancora fatta consapevolezza storica, soprattutto tra le giovani generazioni. Furono 17 i morti causati dall’ordigno esploso nel salone della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano il 12 dicembre del 1969. 49 anni fa quella bomba rappresentò un banco di prova per politica, giornalismo e cittadini.
Il contesto storico
«Piazza Fontana – spiega Dondi a MasterX – è un momento chiave della nostra storia repubblicana, perché quella strage dette mano libera all’estrema destra, impaurendo l’opinione pubblica». Nelle settimane che precedono la bomba, l’Italia viveva l’autunno caldo del 1969: proteste e conquiste sindacali, sullo sfondo l’abbrivio riformista dei governi di centro sinistra di inizio decennio aveva lasciato il posto alla prudenza e al “riformismo minimalista” di Aldo Moro, prima segretario della Dc, poi Presidente del Consiglio; il Sessantotto aveva già risvegliato la coscienza giovanile all’interno delle Università. «La strage viene subito data in pasto ai cittadini come il prodotto di una situazione critica: scioperi che conducono al disordine e infine al caos. La risposta repressiva e poliziesca delle istituzioni avrebbe trovato una sua giustificazione».
Le conseguenze di Piazza Fontana
Le conseguenze di Piazza Fontana furono sia immediate che di lungo periodo. «Autorità, politica e stampa incolparono immediatamente gli anarchici: il ferroviere Giuseppe Pinelli, la stessa sera dell’attentato, venne invitato dalla Polizia a raggiungere a bordo del proprio motorino la Questura di via Fatebenefratelli, da dove non sarebbe uscito vivo. Pietro Valpreda fu invece l’anarchico che l’Italia sconvolta dalla strage elesse a colpevole. Il suo nome e la sua storia vennero cannibalizzati. Sua zia, esattamente come la vedova Pinelli, furono per anni le uniche a difendere l’innocenza dei loro cari». Ma quale fu la reazione immediata della stampa ai fatti di Piazza Fontana? «Il Corriere della Sera fu fondamentalmente colpevolista, così come i quotidiani romani che accreditarono la pista rossa dell’attentato. Solo giornali come Il Giorno e La Stampa ebbero un atteggiamento più autonomo, meno incline ad accettare la versione ufficiale».
A ricordare le 17 vittime della strage resta da decenni la lapide che reca i nomi dei morti sulla facciata dell’edificio un tempo sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura. Per il resto Piazza Fontana è un appendice della vicina Piazza Duomo, un luogo di passaggio per lavoratori, universitari e turisti. «È vero – commenta lo storico, autore di 12 dicembre 1969 edito da Laterza – non ci sono simboli più visibili degli attuali che suscitino il ricordo e la riflessione su quanto accaduto a Milano 49 anni fa. Chissà, magari il cinquantenario potrebbe ispirare azioni più concrete, come l’installazione di un monumento».
La strategia della tensione
Il 1969 significa anche Guerra Fredda, con l’Italia parte del blocco statunitense contro Mosca. Parte del Paese viveva con timore una possibile avanzata dei comunisti e un tentativo di risposta estrema venne data da elementi provenienti dalla politica e dai servizi segreti. «La strategia della tensione è composta non soltanto da un insieme di attentati che partirono con Piazza Fontana: l’elemento fondamentale era l’interpretazione e la lettura che venivano dati sui media di quegli attentati». Tragedie che, nella visione dei suoi artefici, avrebbero giustificato presso l’opinione pubblica limitazioni democratiche e politiche repressive. «Fortunatamente – aggiunge Dondi – la risposta dei cittadini ai fatti di Piazza Fontana fu in larga parte civica e democratica. Pochi furono quelli che scelsero la lotta armata, ma è comunque giusto ricordare che una delle madri del terrorismo rosso fu anche Piazza Fontana».
Dopo 49 anni sono dieci i processi complessivi ruotati attorno alla strage del 12 dicembre 1969. «Nelle ultime due sentenze del 2004 e del 2005 i giudici di Milano hanno riconosciuto il ruolo nella strage dei neofascisti di Ordine Nuovo: Franco Freda e Giovanni Ventura non vennero però incarcerati perché già assolti in via definitiva nel 1987 per gli stessi fatti». Ma è la vicenda e il viaggio letterale dei faldoni e delle carte su Piazza Fontana che incuriosisce. «Il processo sull’attentato passò dai tribunali di Milano, Catanzaro, Bari e Roma. La svolta si ebbe soltanto negli anni ’90 grazie al lavoro del giudice Guido Salvini che ottenne testimonianze da ex membri di Ordine Nuovo».