Domenica si è celebrata la Giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne. Un fenomeno preoccupante diffuso nei Paesi industrializzati, come in quelli Emergenti. Le parole di Natascia Cirimele, attivista dell’associazione femminista “Non Una Di Meno”.
“I sentimenti non si controllano…ma si può controllare il proprio modo di comportarsi”, si legge in un passo del romanzo di successo, Il racconto dell’ancella, della scrittrice canadese Margaret Atwood. Nel libro l’autrice immagina un futuro Stato dispotico, dove il ruolo della donna nella società degrada a tal punto da diventare uno strumento utile alla procreazione. Il mondo femminile ruota attorno a un solo scopo, compiacere il proprio marito ed essere una brava moglie. Una parte delle donne viene sfruttata al fine di impedire un crollo demografico; spogliate di tutto, sono costrette a diventare ancelle al servizio di uno Stato patriarcale e autocratico. Tra immaginario e realtà, la scrittrice canadese affronta nella trama temi attuali, quali la condizione sociale della donna e la violenza di genere. Per sensibilizzare e contrastare il fenomeno ogni anno il 25 novembre si celebra la giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne. Una data questa, scelta dalle Nazioni Unite, che non è casuale.
E’ il 25 novembre del 1960, quando i corpi delle tre sorelle Mirabal vengono ritrovati in un burrone. Si tratta di Patria, Minerva e Maria, arrestate dagli agenti dei servizi segreti del dittatore Rafael Leònidas Trujillo, che da trent’anni governa la Repubblica Domenicana. Addosso i segni inequivocabili della tortura. Le donne, impegnate in prima persona nella resistenza contro il regime, vengono catturate mentre stanno andando a trovare i loro mariti in carcere. L’omicidio de “le farfalle”, così soprannominate, è stata la svolta che ha portato alla caduta della dittatura. Vent’anni dopo, nel 1980 la data del 25 novembre è stata ricordata anche nel primo incontro Internazionale Femminista a Bogotà, in Colombia.
In Italia da anni si discute sulla violenza e la discriminazione di genere. Solo nel 2016, 149 donne sono state uccise. Secondo l’UNODC (United Nations Office on Drugs and Crime) il femminicidio è definito come “un omicidio di una donna compiuto nell’ambito familiare, ovvero dal patner, da un ex patner, o da un parente”. In tre casi su quattro infatti gli omicidi sono commessi proprio in ambito familiare. Quasi 7 milioni di donne fra i 16 e i 70 anni nel corso della loro vita hanno subìto violenza fisica o sessuale (il 31,5%), un milione circa è stata invece oggetto di stupro (5,4%). Oltre due milioni sono state violentate dall’ex patner, mentre un milione hanno ricevuto ricatti sessuali sul posto di lavoro. Le stime dall’Istat fotografano un Paese dove il fenomeno della violenza di genere ha un nocciolo duro difficile da sradicare e riguarda l’ambito familiare.
Natascia Cirimele, attivista dell’associazione “Non Una Di Meno”, conferma che, nella maggior parte dei casi, la violenza si consuma in casa e che le donne sono sempre più spesso vittime dei propri patner, ex patner, mariti o familiari. «In tutte le manifestazioni a favore delle donne, anche in altri Paesi del mondo, al centro c’è la famiglia. Quello che noi denunciamo e rifiutiamo è la famiglia patriarcale, intesa come luogo di sfruttamento, dove le donne sono vittime dei propri uomini e sono considerate persino di proprietà», aggiunge. Una condizione che inevitabilmente sfocia nel femminicidio.
Per Natascia c’è poi la questione politica: «invece di potenziare i servizi di asilo nido e scolastico, s’impedisce alle donne di liberarsi dai legami familiari. Lo Stato dovrebbe quindi assistere le donne e le famiglie nella cura dei figli, un compito spesso completamente delegato a mogli e madri, costrette a rinunciare alla loro vita. Più della metà delle donne in Italia, non lavora, guadagna meno degli uomini o del proprio patner o è ricattata sul posto di lavoro». Secondo Natascia nel nostro Paese, «manca un sistema di welfare adeguato…Così dietro alcune iniziative dell’attuale Governo non c’è solo una posizione ideologica che i partiti maggioritari vogliono difendere, ma anche un vero e proprio ritorno economico», conclude.
L’attivista denuncia una distanza tra i contenuti della politica sulla famiglia e il ruolo della donna nella società «quotidianamente costellata da episodi di sfruttamento e violenza». La proposta di legge Pillon, per esempio, che rivede le modalità di ottenimento del divorzio «rendendolo impossibile per le donne in difficoltà economiche» o la mozione della Lega in Consiglio comunale a Verona, che l’attivista definisce «un attacco alla legge 194» sull’interruzione di gravidanza. Mentre preoccupa che «nel Ddl Pillon le donne non possano fare a meno di relazionarsi con uomini che hanno commesso violenza nei loro confronti…», perché anche le vittime di abusi in famiglia saranno obbligate a ricorrere alla mediazione con il coniuge violento, per ottenere la separazione, con la mozione saranno finanziate le associazioni cattoliche che portano avanti iniziative contro l’aborto.
In Europa, il vero passo in avanti è stato fatto con l’approvazione, in seno al Consiglio d’Europa, della Convenzione di Istanbul, ratificata dal nostro Paese nel 2012. Violenza domestica, molestie sessuali, stupro, matrimoni forzati, delitti d’ “onore”, mutilazione dei genitali sono i crimini commessi sulle donne, che non costituiscono solo una grave violazione dei diritti umani – come si legge nel preambolo alla Convenzione – ma anche il «principale ostacolo al raggiungimento della parità tra i sessi».
Una parità che consentirebbe alle donne di tutto il Mondo, non solo di emanciparsi, ma di dimostrare quanto la comunità non possa fare a meno di madri, mogli e figlie, compagne ovvero delle donne.