Razzismo al contrario, apartheid dei bianchi, possibile inizio di un genocidio. Sono molti i termini altisonanti con cui nelle scorse settimane alcune testate online hanno tentato di catturare l’attenzione degli utenti in riferimento a quanto sta accadendo in questi mesi nelle campagne del Sudafrica. Titoli che – va da sé – paiono confezionati appositamente per aizzare lo sdegno di un preciso tipo di pubblico, per rinfocolare vecchi e nuovi rancori nei confronti dell’“altro da noi”. Ma, al di là del pervadente sensazionalismo da clickbaiting, cosa c’è di vero nella vicenda? Bufala da tastiera o retroscena da approfondire? Proviamo a fare ordine.
A innescare le polemiche è stata, il 27 febbraio, l’approvazione di una mozione che consentirà al governo di Pretoria di mettere mano alla sezione 25 della Costituzione per rendere legale l’espropriazione dei terreni dei contadini bianchi senza dar loro nulla in cambio. Principale promotore dell’iniziativa, il leader del partito di estrema sinistra Eff (Economic Freedom Fighters) Julius Malema, che a sua volta ha potuto fare affidamento sull’appoggio del neopresidente Cyril Ramaphosa. Per questo, nonostante l’Eff sieda all’opposizione, la mozione in Parlamento è passata a larghissima maggioranza: 241 i voti favorevoli, 83 quelli contrari.
«Il tempo della riconciliazione è finito. Ora è giunto il tempo della giustizia», ha detto Malema. Secondo il leader dell’Eff, tale provvedimento rappresenterà un passo avanti verso «la restituzione della dignità a un popolo martoriato per anni da criminali che non riceveranno compenso per ciò». Concetti forti, parole aspre. Malema, tuttavia, non è nuovo a questo tipo di dialettica. La sua retorica ha infatti raggiunto l’apice già nel 2011, quando venne ripreso a cantare «Shoot the boer» (Spara al boero, ossia al sudafricano bianco di origini olandesi) di fronte ai suoi sostenitori, mimando con la mano il gesto della pistola. Poi, due anni fa, proprio in riferimento agli espropri agricoli ha dichiarato: «Noi non chiediamo il massacro dei bianchi, almeno per ora. Noi non stiamo promuovendo la violenza, ma non posso garantire il futuro. Io non sono un profeta».
Ma a cosa è dovuto tanto livore? Semplice: alla netta sproporzione tra il numero dei cittadini neri e la percentuale dei terreni da questi posseduti. In Sudafrica, infatti, i bianchi costituiscono l’8,9% della popolazione complessiva, ma detengono addirittura il 73% delle terre destinate all’agricoltura. Il recente provvedimento mira dunque a invertire queste statistiche. Poco importa che i suddetti terreni siano proprietà dei contadini bianchi in alcuni casi anche da più di tre secoli. D’altra parte, una simile operazione per l’Africa non rappresenterebbe un inedito.
Il precedente dello Zimbabwe di Mugabe
Nell’architettare la sua proposta di modifica costituzionale, infatti, Malema si è ispirato a quanto già attuato tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000 dall’ex dittatore dello Zimbabwe Robert Mugabe. Una manovra, quella degli espropri forzati ai danni dei bianchi, che in quel caso ebbe però conseguenze disastrose, contribuendo a fare della ex “Svizzera d’Africa” costruita da Ian Smith una nazione in preda alla più totale rovina sociale ed economica. Questo perché il Paese venne improvvisamente privato non solo della sua impalcatura produttiva, ma anche del know-how necessario per mantenerla.
Criminalità: cifre non confortanti
Al di là delle incerte prospettive future, va tuttavia già constatato un dato di fatto: che il clima che oggi si respira in Sudafrica è ben lontano da quello auspicato in passato da Nelson Mandela. Il quale, una volta salito al potere, si adoperò con buon profitto affinché tutte le componenti del caleidoscopio culturale della Repubblica convivessero nella maniera più armoniosa possibile. Nulla di paragonabile, dunque, alle logiche oppositive attualmente propagandate. Che hanno finora avuto come unico effetto quello di soffiare sul fuoco di un disagio sociale largamente diffuso in un paese ancora frammentato da enormi diseguaglianze interne.
Non stupisca dunque il numero degli omicidi perpetrati negli ultimi vent’anni ai danni dei contadini bianchi, che secondo alcune stime supererebbe quota 3mila. Nel solo 2017, per esempio, sono stati conteggiati oltre 350 attacchi armati alle fattorie (erano addirittura il triplo quindici anni fa). «Gli agricoltori spesso vivono in aree isolate nelle quali l’intervento delle forze dell’ordine non si rivela mai tempestivo», riferisce l’AfriForum, una ong di difesa della minoranza bianca. Ma i dati vanno contestualizzati. Per questo l’African Check, ente che si occupa della verifica delle notizie sui media, sostiene che tali omicidi siano niente più che «una goccia nel mare dell’ecatombe che costituisce la criminalità in Sud Africa». Un Paese che sta facendo registrare circa 19mila omicidi annuali (52 al giorno di media), collocandosi così tra le nazioni più pericolose del mondo.
Il ruolo dell’Australia
Il tema dei farmers, seppur poco trattato dalle agenzie occidentali, ha suscitato diverse reazioni internazionali. Prima tra tutte quella dell’Australia, il cui ministro degli Interni Peter Dutton ha ipotizzato l’istituzione di un corridoio umanitario a loro dedicato. Alle sue esternazioni hanno però fatto seguito varie precisazioni. «Dutton nella sua proposta intendeva affermare che se qualcuno si sente perseguitato, può richiedere in Australia il visto umanitario», ha chiarito il ministro degli Esteri Julie Bishop. «Questo però non significa che ci sia l’intenzione considerare i farmers come una categoria a parte».
Ciononostante, il polverone tra Canberra e Pretoria si è ormai innalzato. «Quanto detto dal ministro australiano è ridicolo», si legge in una nota di Ndivhuwo Mabaya, portavoce del governo sudafricano. «Vogliamo tranquillizzare tutti: il mondo non deve farsi prendere dal panico. Il programma di redistribuzione verrà fatto secondo legge».
La sensazione, ad oggi, è che l’intera questione debba ancora entrare nel vivo: quel che accadrà quando gli espropri verranno resi attuativi è ancora difficilmente prevedibile.