Scoperte almeno altre cinque fosse comuni nel nord dello Stato di Rakhine, a rivelarlo un’inchiesta sui profughi di etnia Rohingya condotta dall’Associated Press in Bangladesh. Dallo scorso agosto sono fuggiti oltre confini circa 650mila persone, in un esodo che l’Organizzazione Mondiale delle Nazioni Unite ha definito: «un esempio da manuale di pulizia etnica».
Si sarebbe svolto nel villaggio di Gur Dar Pyin, l’ennesimo massacro condotto dall’esercito birmano nei confronti del popolo Rohingya, denunciato dall’agenzia americana. Il numero esatto delle vittime resta ancora ignoto, ma da un primo bilancio, sarebbero tra le 200 e le 400. Grazie alle testimonianze dirette dei sopravvissuti, fuggiti al confine con il Bangladesh, e ad un video, di cui l’Associated Press è entrata in possesso, il violento attacco risalirebbe al 27 agosto scorso. L’esercito birmano, dopo aver dato fuoco all’intero villaggio, avrebbe scavato delle fossi comuni e, successivamente, sfregiato i corpi delle vittime con l’acido, per occultare le prove.
Noor Kadir, sopravvissuto al massacro, ha raccontato all’Associated Press di aver ritrovato sei dei suoi amici seppelliti in due diverse fossi comuni, riconoscibili solo dal colore dei loro pantaloncini. L’uomo ha ricordato che quando è arrivato l’esercito e ha iniziato a sparare, lui e un gruppo di altri uomini si preparavano a dar vita a una partita di un gioco tradizionale simile al calcio.
Questa ultima scoperta – ha denunciato Human Rights Watch – è l’ennesima testimonianza della pulizia etnica portata avanti dall’esercito birmano nei confronti della minoranza musulmana dei Rohingya. Dure le parole del vice direttore di Human Rights Watch per l’Asia, Phil Robertson: «si tratta di una prova agghiacciante che rende ancora più urgente un intervento della comunità internazionale. È tempo che l’Europa e gli Stati Uniti inizino ad identificare delle sanzioni contro i comandanti militari e i soldati responsabili di questi crimini, e che le Nazioni Unite portino avanti una campagna per l’embargo globale degli armamenti e per la fine degli addestramenti dell’esercito», ha concluso.
Mentre gli attacchi contro i Rohingya continuano e si aggrava di giorno in giorno la condizione dei campi profughi al confine con il Bangladesh, preoccupa il piano di rimpatrio delle migliaia di donne, uomini e bambini di religione musulmana. Lo scorso autunno, Bangladesh e Myanmar hanno infatti firmato un accordo che, pur permettendo ai Rohingya di entrare nuovamente in patria, non offre loro alcuna garanzia dalle persecuzioni dei militari. Rimpatrio che le autorità bengalesi hanno però sospeso a data da definirsi.
Lo Stato di Rakhine, nel nord-ovest dell’ex Myanmar, e i campi profughi continuano ad essere inaccessibili sia agli operatori umanitari che ai giornalisti.
(chc)