La Procura di Palermo ha chiesto rispettivamente 15 e 12 anni di carcere per l’ex capo del Ros, Mario Mori e per l’ex senatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri. Per entrambi, il reato è minaccia e violenza al “Corpo politico dello Stato”. Dell’Utri sta scontando una pena a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Nell’ambito del processo è imputato per falsa testimonianza, anche l’ex Ministro degli Interni, Nicola Mancino, nei confronti del quale i magistrati inquirenti hanno chiesto la condanna a 6 anni di reclusione.
Per la Trattativa Stato-Mafia, a lungo sotto la lente di ingrandimento della Procura di Palermo, sono stati condannati rispettivamente a 16 e 12 anni di reclusione i boss, Leoluca Bagarella e Antonio Cinà, per minaccia «a suon di bombe» – come ha dichiarato il pubblico ministero, Vittorio Teresi – al “Corpo politico dello Stato”. Nei confronti del pentito Giovanni Brusca, i togati hanno applicato l’attenuante speciale prevista per i collaboratori di giustizia e la prescrizione del reato ascritto a suo carico.
Prescritta l’accusa di associazione mafiosa avanzata dai pm nei confronti del figlio dell’ex sindaco di Palermo, Massimo Ciancimino, al quale era già stato contestato il reato di calunnia nei confronti dell’ex Capo della Polizia, Gianni De Gennaro. Secondo i magistrati, la prescrizione è legittima, perché le condotte mafiose, contestate a Ciancimino, sarebbero cessate con la cattura del boss di Cosa Nostra, Totò Riina, a gennaio 1993.
Il pubblico ministero, Vittorio Teresi, affiancato dai pm Nino di Matteo, Roberto Tartaglia e Franco Del Bene: «Sono colpevoli e vanno condannati». Dinanzi alla Corte D’Assise, presieduta dal giudice Alfredo Montalto, nella lunga requisitoria è stato ribadito: «Questo processo riguarda i rapporti indebiti fra Cosa Nostra e alcuni esponenti delle istituzioni». Secondo Teresi, la trattativa avrebbe avuto origine tra il 1992 e il 1993, durante la fase “stragista” di Cosa Nostra, iniziata con il delitto dell’eurodeputato Lima e proseguita con gli omicidi del giudice Falcone e del Pm Borsellino. I mafiosi – ha concluso Teresi – volevano vendicarsi e, allo stesso tempo, inviare un messaggio di ricatto al Governo e alle istituzioni. In questo modo Cosa Nostra avrebbe cercato una mediazione con lo Stato.
Nel lungo atto di accusa, stilato dal pool di magistrati inquirenti sono state riportate anche le parole di Riina intercettate in carcere: «Io al Governo gli devo vendere i morti».
La sentenza, che chiuderà il processo sulla Trattativa Stato-Mafia, è prevista per aprile, dopo oltre 4 anni di dibattimento e 210 udienze. (Chc)