È stato uno dei punti fermi della presidenza Obama. E come tante altre iniziative della precedente amministrazione, Donald Trump sta per smantellarla. In America, l’epoca della neutralità della rete – il principio per cui i provider di Internet devono trattare tutti i contenuti nello stesso modo, senza corsie preferenziali – potrebbe terminare tra poche ore. La Commissione Federale per le Comunicazioni, a maggioranza repubblicana, dovrebbe rovesciare oggi una decisione del 2015 e consentire ai fornitori della rete ad alta velocità (Internet Service Provider, Isp) di bloccare pagine sgradite, privilegiarne altre o esigere pagamenti per fornire più velocemente i contenuti.
LE MOTIVAZIONI DEI REPUBBLICANI – Secondo i conservatori, si tratta di una misura necessaria per cancellare un eccesso di regolamentazione e ripristinare la libera concorrenza. Il presidente della commissione, Ajit Pai, nominato a gennaio da Trump, sostiene anche che incrementare i profitti dei provider è nell’interesse collettivo: i guadagni potrebbero essere reinvestiti per migliorare la rete e tutti – a partire dai clienti – ne trarrebbero beneficio. I provider stessi, inoltre, affermano di avere bisogno di maggiori risorse per ristrutturare e potenziare strutture messe a dura prova da alcuni servizi, come quelli di streaming video.
L’ATTACCO DEI DEMOCRATICI – I democratici ritengono invece che l’abolizione della neutralità della rete segni la fine di Internet come mezzo democratico per eccellenza: un’ulteriore prova che gli Stati Uniti si stanno consegnando alle grandi aziende. Al pari della riforma fiscale di Trump e dell’asta a colpi di incentivi per accogliere il secondo quartier generale di Amazon, in cui alcune città si sono addirittura offerte di mettere a disposizione della compagnia una parte dell’apparato pubblico. «Porre fine alla neutralità della rete non è nell’interesse dei consumatori americani e non dà loro alcun beneficio», ha twittato la senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren. «Ne trarranno profitto solo quelle poche, gigantesche aziende che potranno bloccare, filtrare o farsi pagare di più ciò che facciamo in rete».
Ending #NetNeutrality doesn’t serve the public interest or benefit American consumers – it will only benefit the handful of giant companies that will block, filter, or charge more for what we do online.
— Elizabeth Warren (@SenWarren) 21 novembre 2017
UNA RETE «MASSIMAMENTE UTILE» – È stato un avvocato a rendere popolare il termine «net neutrality», «neutralità della rete». Tim Wu, professore della Columbia Law School e opinionista del New York Times, scriveva nel 2003 che «una rete informativa pubblica massimamente utile aspira a trattare tutti i contenuti, siti e piattaforme allo stesso modo». Un principio ribadito e chiarito dal padre del World Wide Web, Tim Berners-Lee: «Vent’anni fa, gli inventori di Internet progettarono un’architettura semplice e generale. Qualunque computer poteva mandare pacchetti di dati a qualunque altro computer. La rete non guardava all’interno dei pacchetti».
«Una rete informativa massimamente utile aspira a trattare tutti i contenuti, siti e piattaforme allo stesso modo»
– Tim Wu, professore della Columbia Law School
GLI EFFETTI DI UNA RETE NON NEUTRALE – I fautori della neutralità della rete temono che la deregolamentazione possa permettere ai provider di privilegiare contenuti in linea con la loro agenda politica. Oppure quelli di chi è in grado di pagare di più, con un ovvio vantaggio per i giganti della rete. Favorire la libera concorrenza tra i fornitori di Internet, secondo i critici, potrebbe insomma uccidere quella tra i fornitori di contenuti.
CONFLITTI DI INTERESSE – Alcuni provider di Internet ad alta velocità, inoltre, offrono ora anche contenuti. È il caso di AT&T, uno dei principali Internet Service Provider d’America, che ha dato vita nel 2016 a DirecTV Now, un servizio di streaming TV. L’azienda potrebbe dunque avere la facoltà di rallentare i contenuti concorrenti e privilegiare i propri.
CAMBIAMENTI UNILATERALI – I provider saranno liberi anche di modificare unilateralmente le condizioni d’uso, a patto di comunicare le loro scelte «in modo trasparente». Un Internet Service Provider potrebbe, per esempio, proporre un accordo che premia il servizio streaming di Netflix. Se in un secondo tempo strappasse condizioni più convenienti con Prime Video di Amazon, potrebbe invertire la propria politica. Il cliente si troverebbe così legato a un fornitore che propone un’offerta diversa da quella per cui aveva firmato.
In Portugal, with no net neutrality, internet providers are starting to split the net into packages. pic.twitter.com/TlLYGezmv6
— Ro Khanna (@RoKhanna) 27 ottobre 2017
I CASI EUROPEI – Esempi delle possibili conseguenze di una rete non neutrale arrivano dall’Europa. La normativa Ue a tutela della neutralità, approvata nell’ottobre del 2015, è giudicata insufficiente da molti esperti e dallo stesso Berners-Lee. E anche da diverse compagnie, che hanno approfittato di alcune zone grigie. In Svezia, Telia Company AB ha proposto ai suoi clienti accesso illimitato ad alcune applicazioni, tra cui Facebook, Instagram e Spotify, senza consumare il monte dati a disposizione. Lo stesso è accaduto in Spagna con Vodafone e un pacchetto di servizi streaming video: Netflix, YouTube, Hbo e Dailymotion. In Portogallo, la compagnia Meo offre piani dati limitati ad app specifiche: se si accede ad altre, i prezzi aumentano. In Germania, Deutsche Telekom ha lanciato sul mercato StreamOn, che permette accesso illimitato e gratuito ai contenuti di alcuni partner, tra cui Netflix.
Come rilevato dal New York Times, però, i rischi, in America, sarebbero ben diversi. In Europa, il ventaglio di offerte è molto ampio. «La Francia ha quattro grandi compagnie telefoniche e altre nove low-cost, la Gran Bretagna ne ha più di 50», ha sottolineato il quotidiano statunitense. Negli Stati Uniti, maxi-fusioni come quelle tra Verizon e AOL, o Comcast e NBC Universal hanno consegnato invece il mercato a pochi colossi.