CONTINUANO I RAID USA CONTRO IL NARCOTRAFFICO

Ancora sangue nella regione marittima del Pacifico Orientale che, insieme al Mar dei Caraibi, è da mesi teatro delle azioni militari americane per la lotta ai cartelli della droga.

Nella notte tra il 15 e il 16 dicembre l’ultimo attacco, che ha visto coinvolte tre imbarcazioni e che ha provocato la morte di otto uomini. Il Comando Meridionale degli Stati Uniti ha riferito in un post su X che i battelli stavano transitando lungo le rotte del narcotraffico nel Pacifico e che l’amministrazione Trump ha deciso di bombardare dopo che l’intelligence ha confermato che si trattava di narcotrafficanti.

Trump difende l’intervento della marina militare definendolo “necessario”, ma il panorama internazionale lo considera l’ennesima “esecuzione extragiudiziale” condotta illegalmente dagli USA.

I PRECEDENTI

Il primo raid americano risale all’1 settembre, contro imbarcazioni venezuelane che navigavano nel mare dei Caraibi, in acque internazionali. Oltre 25 gli attacchi per l’accusa di trasportare sostanze stupefacenti la cui vendita nel territorio americano sarebbe finalizzata al finanziamento di organizzazioni terroristiche.

Il dispiegamento militare USA a largo del Venezuela. Fonte: Reuters

Da qui la definizione di “narcoterroristi”, data da Trump alle vittime dei bombardamenti che, dopo quasi quattro mesi, secondo un’inchiesta dell’Associated Press, sono oltre novanta tra militari e lavoratori.

A destare preoccupazioni tra gli attori internazionali, il mancato rispetto della garanzia di un equo processo, garanzia prevista dal diritto internazionale ma infranta dalla scelta di intervenire militarmente senza seguire le tradizionali procedure di arresto dell’equipaggio e di sequestro delle imbarcazioni. Violati, dunque, sia il diritto marittimo internazionale sia il diritto umanitario.

IL SEQUESTRO DELLA PETROLIERA SKIPPER

Un apparente cambio di rotta si è avuto, dopo mesi di tensioni, il 10 dicembre, quando Trump ha annunciato il sequestro della petroliera venezuelana Skipper, la più grande mai sequestrata, con una portata di circa 320 mila tonnellate di petrolio greggio proveniente da Venezuela e Iran.

La decisione dell’amministrazione Trump ha sollevato critiche in tutto il Venezuela, dove il 13 dicembre hanno avuto luogo proteste con la partecipazione di centinaia di cittadini riunitisi nella capitale Caracas e in diverse altre città del Paese. Secondo quanto ricostruito, il governo e i suoi gruppi di base avrebbero organizzato e sostenuto le manifestazioni per protestare contro quanto è stato definito un “atto di pirateria”

Le proteste, tuttavia, non hanno sortito gli effetti sperati: «La nave arriverà in un porto statunitense e gli Stati Uniti intendono sequestrare il petrolio», così la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt all’indomani del sequestro. La petroliera, infatti, si troverebbe ora nel Golfo del Messico, diretta verso un porto texano, nei pressi di Houston.

LE REAZIONI INTERNAZIONALI
Il Presidente USA, Donald Trump

«(L’attacco n.d.r.) È avvenuto mentre questi narcoterroristi venezuelani erano in acque internazionali per il trasporto di stupefacenti illegali, un’arma mortale che avvelena gli americani», aveva postato Trump su Truth.

La politica del Presidente statunitense, seppur sostenuta dai suoi fedelissimi, ha suscitato le critiche di diversi membri del Congresso e di organizzazioni internazionali, tra cui Amnesty International USA, che, attraverso la direttrice del programma di Sicurezza, ha dichiarato: «Non c’è assolutamente alcuna giustificazione legale per questo attacco militare».

Anche Putin ha espresso il suo sostegno al popolo venezuelano e al governo di Caracas e, con una telefonata a Maduro, ha manifestato la sua vicinanza sia al popolo venezuelano sia al suo Presidente, che negli Stati Uniti le autorità ricercano per contrabbando di droga.

LOTTA AL NARCOTRAFFICO O OBIETTIVO POLITICO?
Nicolas Maduro, Presidente del Venezuela

Ma qual è il vero obiettivo di Trump? Secondo Nicolas Maduro la Casa Bianca starebbe strumentalizzando la lotta al traffico di droga, avendo come scopo reale quello di imporre un cambio di regime a Caracas e di impadronirsi del petrolio venezuelano.

Una visione, questa, condivisa da diversi esperti, tra cui Elena Marisol Brandolini, esperta di politiche di sicurezza sociale, e Antonella Mori, a capo del Programma America Latina di ISPI.

La reale strategia del Presidente americano – hanno dichiarato – sarebbe quella di erodere il regime politico venezuelano provocandone il “collasso dall’interno”. Il tutto senza l’uso della forza, anche se l’ingenza delle forze armate schierate dagli USA è tale da ricordare quella dei militari schierati nel 1989 per l’invasione di Panama.

Intanto, l’11 dicembre l’Assemblea Nazionale del Venezuela ha abrogato la legge di adesione allo Statuto di Roma, ovvero il trattato che istituisce la Corte Penale Internazionale. Secondo gli esperti, chi ha preso la decisione l’avrebbe assunta in segno di protesta per il modo in cui le autorità hanno condotto le indagini su presunte violazioni dei diritti umani in Venezuela (oltre che come atto di solidarietà verso la causa israelo-palestinese), denunciando l’uso di due pesi e due misure tra Paesi più e meno influenti.

La volontà del Venezuela sembra quella di allontanarsi dall’ordine giuridico globale che, agli occhi di molti Paesi, sarebbe eccessivamente orientato dai rapporti di forza tra Stati occidentali.

PROSPETTIVE FUTURE
Gustavo Petro, Presidente della Colombia

Oltre al Venezuela Trump torna a minacciare anche la Colombia: «la Colombia produce molta droga (ed è, ndr) meglio che si svegli o sarà la prossima», ha dichiarato il Presidente americano.

Un’importante scossa per l’America Latina, che si appresta a vivere momenti di tensione crescente, molto lontani dalle missioni pacifiste promosse da Trump nel resto del mondo.

 

A cura di Alessandra Falletta Ballarino

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