Il 15 novembre 2024 il cooperante veneziano Alberto Trentini è stato arrestato a Caracas e rinchiuso nel carcere di El Rodeo I. Il governo di Nicolas Maduro non ha dato spiegazioni sulla decisione e in dodici mesi sono state solo tre le comunicazioni con la famiglia.
Il giorno dell’arresto
Trentini, 45enne originario di Venezia, si trovava a Caracas come cooperante per la ong internazionale Humanity & Inclusion. Lo scorso novembre mentre si stava spostando per motivi lavorativi dalla capitale a Guasdualito, nel nordovest del Paese, è stato arrestato dalle autorità venezuelane. Prima di partire, Trentini aveva mandato dei messaggi alla madre, Armanda Colusso: poi il vuoto. Di lui non si è saputo più nulla, fino alla sera del giorno successivo quando il governo Maduro ha avvisato la famiglia dell’arresto del figlio. Le motivazioni? Non specificate. Fonti della Repubblica hanno rivelato che probabilmente Trentini è stato accusato di cospirazione, nonostante non fosse in contatto con gruppi politici in opposizione a Maduro.
La diplomazia degli ostaggi

L’ipotesi principale è che il cooperante sia diventato uno strumento nelle mani del regime, non riconosciuto dal governo italiano, e che stia venendo utilizzato come merce di scambio per motivi politici. Rientrerebbe nella cosiddetta “diplomazia degli ostaggi” di Maduro, volta a incarcerare cittadini occidentali per ottenere qualcosa in cambio da altri governi, come gli Stati Uniti. Non è sicuro che questa sia la motivazione ufficiale: anche se è molto probabile, a metà gennaio il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha detto che la detenzione «non è una rappresaglia» di Maduro. Sempre fonti di Repubblica, hanno affermato che il cooperante sarebbe prigioniero della DGCIM (Dirección General de Contrainteligencia Militar), l’agenzia venezuelana di controspionaggio militare.
I contatti con l’Italia
Da quel 15 novembre 2024, le comunicazioni con la famiglie sono sempre state rade, se non nulle. Solo a febbraio il governo venezuelano aveva dato la notizia che il cooperante era vivo. Un incoraggiamento, seppur minimo, per la famiglia, tant’è che alcuni agenti dell’AISE (Agenzia informazioni e sicurezza esterna, i servizi segreti per gli esteri) sono andati a Caracas per ottenere la liberazione di Trentini. Da allora i contatti e i colloqui utili per far tornare il cooperante in Italia sono stati minimi. A maggio, sei mesi dopo l’arresto, c’è stata la prima chiamata tra Trentini e la famiglia. Una corrispondenza breve, in cui il cooperante ha dato alcune informazioni: non poteva comunicare con nessuno, stava bene e riceveva le cure di cui necessitava, in quanto soffre di ipertensione. A luglio, poi, la seconda telefonata e a ottobre la terza.

Inizialmente la famiglia aveva richiesto la massima discrezione per evitare escalation negative. Solo successivamente ha iniziato a esporsi pubblicamente per sollecitare i poteri politici e portare il caso all’attenzione dell’opinione pubblica. Su Facebook, infatti, gli amici e l’avvocato Alessandra Ballerini hanno aperto la pagina “Alberto Trentini Libero”, dove pubblicano gli aggiornamenti e hanno aperto una petizione su Change.org per richiedere anche un’assistenza legale e medica e una maggiore apertura con l’esterno.
Un anno dopo
Il 15 novembre 2025, a un anno dall’arresto del figlio, Armanda Colusso ha accusato il governo italiano di non aver fatto abbastanza finora per liberarlo. «Fino ad agosto il nostro governo non aveva avuto alcun contatto telefonico col governo venezuelano. – ha detto durante la protesta organizzata davanti a Palazzo Marino a Milano – E questo dimostra quanto poco si sono spesi per mio figlio. Mi sorge spontanea una domanda: fosse stato un loro figlio, l’avrebbero lasciato in prigione un anno intero?». Colusso, inoltre, aveva già fatto un appello alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni per chiederle «di percorrere tutte le strade, domandando se necessario il contributo di istituzioni anche di altri Paesi». La situazione resta complicata e di «difficile soluzione» ha affermato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, sottolineando che sono stati attivati «tutti i canali» per riportare Trentini in Italia.
La vicenda in Venezuela
Il 7 gennaio la Commissione interamericana dei diritti umani (CIDH), organo dell’Organizzazione degli Stati Americani (OAS) di cui fanno parte il Venezuela e altri 33 paesi americani, ha trattato il caso con una risoluzione. Il testo ricostruiva la vicenda, avvalendosi di prove, come messaggi Whatsapp, per approfondirla. Ma rimanevano molti dubbi. La versione non era stata concordata precedentemente con la famiglia e alcuni dettagli non coincidevano tra ciò che era stato appurato dalla Commissione e ciò che sapevano i genitori.
lass=”yoast-text-mark” />>Il governo venezuelano ha affrontato la questione solo a settembre, in un’intervista con l’emittente statunitense CNN al ministro degli Esteri Yván Gil. Senza specificare i motivi dell’arresto, Gil ha affermato che Trentini sarebbe «sotto processo. C’è una causa in corso e che continuerà», ma che i «i suoi diritti umani non sono violati».
Gli altri prigionieri
Trentini non è l’unico cooperante arrestato in Venezuela. Da quando è iniziato il terzo mandato di Maduro, il Venezuela ha contato più di 800 prigionieri politici, di cui 91 stranieri secondo il Foro Penal, associazione per i diritti umani del Paese. Le autorità venezuelano arrestano i cittadini senza una causa definita, facendoli diventare uno scambio tra i governi. I casi non sono però tutti dall’epilogo negativo. A maggio era stato liberato Alfredo Schiavo, cittadino italo-venezuelano detenuto da cinque anni a Caracas. Mentre il mese scorso è stato scarcerato Camilo Castro, anche lui rimasto per sei mesi nel carcere Rodeo I. Ad oggi, sarebbero una quindicina gli italiani detenuti in Venezuela, ma il governo Meloni starebbe contrattando per ottenere la liberazione dei prigionieri politici che non hanno commesso reati.