Ciao bambino (2024) di Edgardo Pistone si aggiudica il Premio Caligari alla XXXV edizione del Noir in Festival, ospitata dall’Università IULM di Milano dall’1 al 6 dicembre. Sei i film in gara e uno fuori concorso: L’orto americano, di Pupi Avati. Il premio della giuria è stato assegnato al Cinema Arlecchino di Milano.
Tra le pellicole proiettate durante il festival – oltre al vincitore – anche La città proibita (Gabriele Mainetti, 2025), Mani nude (Mauro Mancini, 2024); La valle dei sorrisi (Paolo Strippoli, 2025), Elisa (Leonardo Di Costanzo, 2025) e L’isola degli idealisti (Elisabetta Sgarbi, 2024).
Dopo le proiezioni tutti i registi in concorso hanno interagito con il pubblico lanciando una sfida manifestando la necessità di un numero sempre crescente di eventi culturali per la diffusione del cinema italiano di genere.
Il vincitore della rassegna Ciao Bambino
Tra i temi maggiori del festival, merita certamente attenzione quello legato allo spazio. Ciao bambino racconta l’impossibilità di evadere dalle proprie radici: il giovane Attilio vive nei quartieri più poveri di Napoli ed è costretto a lavorare per coprire i debiti del padre – contratti con i malavitosi del posto – facendo il protettore di una ragazza, Anastasia, alla quale il protagonista si affeziona.
«L’errore più comune è quello di dividere il mondo in due parti: i buoni e i cattivi, il bianco e il nero, i grandi e i piccoli», questo il prologo con cui si apre il film. Attilio è infatti ingabbiato nell’ambiguità della vita: ha soli 17 anni, eppure deve provvedere al mantenimento della famiglia, costretto a fare un lavoro riprovevole.

La fotografia in bianco e nero (l’unica tra i film in concorso) accentua un contesto in cui sono proprio le sfumature dei grigi a rendere conflittuali le scelte, restituendo uno spaccato di complessità incredibilmente verosimile. Questa ambiguità sarà presente anche nell’ultima inquadratura, in cui il corpo del ragazzo è a metà tra il campo e il fuori campo, tra la prigionia delle proprie origini e un’affannosa ricerca di libertà.
L’incontro tra la Cina e l’Esquilino in La città proibita
È all’insegna della pluralità invece La città proibita, in cui si approfondiscono le convivenze multietniche nel quartiere Esquilino. La storia di Mei e della sorella Yun, costrette a separarsi a causa della politica del figlio unico (in vigore in Cina dal 1975 al 2015), si intreccia con quella di Marcello, che gestisce la trattoria del padre scomparso.

Mei, giunta a Roma per cercare la sorella, si trova in uno scontro tra clan, quello tra Annibale – un coriaceo e xenofobo Marco Giallini – e Wang, un malavitoso che fa affari nel ristorante cinese “Città proibita” dove Yun aveva lavorato. L’avvicinamento tra Mei e Marcello sarà l’alternativa al clima di astio e violenza, in un dialogo tra culture che prima erano ostili tra loro.
L’assenza di luogo in Mani nude
La negazione del contesto spaziale guida invece Mani nude, in cui il giovane Davide viene rapito ed è costretto a combattere clandestinamente contro altri uomini assoldati. L’addestramento dei combattenti è gestito da Minuto (Alessandro Gassman), che però stringe un’amicizia paterna col ragazzo. Lo spostamento dei protagonisti è ignoto allo spettatore, che non conosce il nome di nessun luogo e vive un’esperienza straniante insieme a Davide, lontano da casa e immerso in un incubo senza alcuna spiegazione.
Ogni nuova tappa del protagonista è un’inutile ricerca di evasione, proprio come l’inquadratura iniziale, che mostra il camion dove si svolge il suo primo combattimento ruotare intorno a sé stesso, con un falso movimento che lo porta puntualmente al punto di partenza.

A seguire c’è stata la proiezione de L’orto americano con l’ospite speciale Pupi Avati che ha chiuso la cerimonia. L’interesse riscosso dall’evento per il cinema italiano ribadisce il ruolo del Noir in Festival come spazio privilegiato di confronto tra autori e pubblico.
A cura di Federico Tondo