Oceano Indiano, nuove ricerche del volo Malaysia scomparso anni fa

La fobia di volare è tra le più diffuse nella popolazione mondiale, ma essere a bordo di un aereo che sparisce nel nulla la supera sicuramente. È quello che è successo al volo MH370 di Malaysia Airlines, scomparso dai radar l’8 marzo 2014 durante la tratta Kuala Lumpur-Pechino e mai più ritrovato. Quasi dodici anni dopo potrebbe esserci una svolta in questo mistero: la compagnia Ocean Infinity ha stretto un patto con il governo della Malesia per avviare una nuova operazione di ricerca.

Le nuove indagini

Le operazioni di ricerca saranno circoscritte in un’area predefinita di 15mila chilometri quadrati nel sud dell’Oceano Indiano. Secondo i ricercatori dell’Ocean Infinity, ci sarebbero alte probabilità di trovare i resti del velivolo e dei passeggeri. Alcuni robot di ultima generazione sonderanno i fondali marini, strumenti molto più sofisticati e moderni rispetto a quelli adoperati nelle missioni precedenti. Ocean Infinity è un’azienda privata anglo-statunitense di robotica, specializzata nel suo utilizzo per esplorazioni e ottenere informazioni dall’oceano e dai fondali marini.

Si era già occupata in precedenza del caso, senza ottenere grandi risultati all’altezza delle aspettative. Le nuove ricerche partiranno il 30 dicembre e avranno una durata stimata di diciotto mesi, al termini dei quali Ocean Infinity riceverà il compenso pattuito di settanta milioni di dollari solo in caso di ritrovamento del relitto. Si tratta infatti di un patto No find No fee, che segna un preciso impegno nel portare risultati concreti.

Ricostruzione del cambio di rotta
Il mistero della scomparsa

Il Boeing 777 era decollato intorno all’1 di notte tra il 7 e l’8 marzo 2014 dall’aeroporto di Kuala Lumpur, con arrivo alle ore 06.30 a Pechino. A bordo si trovavano 227 passeggeri e 12 membri dell’equipaggio. La maggior parte di loro era di cittadinanza cinese, ma vi erano anche malesiani, indonesiani, australiani, indiani, statunitensi, olandesi e francesi. Dopo circa una ventina di minuti dalla partenza, quando l’aereo si trovava alla quota stabilita e le fasi di salita e accelerazione erano già state completate, le comunicazioni si erano interrotte e il volo MH370 era uscito dai radar.

Grazie alle immagini satellitari era stato possibile stabilire il cambio di rotta dell’aereo in direzione sud-ovest nell’Oceano Indiano. Nei giorni successivi si era mobilitata una squadra di soccorritori internazionale provenienti da Cina, Malesia e Australia, ma era stato tutto invano. Non è mai stato possibile localizzare il relitto, probabilmente adagiato in qualche zona remota sul fondale oceanico. Un rapporto del 2018 aveva confermato una manomissione manuale della rotta, forse ad opera del comandante.

Il pilota comandante del volo, secondo molti responsabile dell’incidente

Questa ipotesi è confermata dal ritrovamento a casa sua di un simulatore di volo con percorsi che puntavano in mezzo al nulla nell’Oceano Indiano. In tutti questi anni di ricerche sono stati recuperati solamente pochi detriti, tra cui parti di una fusoliera, attorno alle coste dell’Africa orientale e di alcune isole nell’Oceano Indiano. Queste prove però non bastano a ricostruire una dinamica dell’incidente: è necessario trovare la scatola nera dell’aereo per finalmente sciogliere i nodi del più grande mistero dell’aviazione moderna.

A cura di Chiara Orezzi

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