Chiuso dopo 25 anni il caso sull’omicidio di un boss

Sono sei gli arresti eseguiti dai carabinieri coordinati dalla PM della Direzione distrettuale antimafia Alessandra Cerruti. Così si chiude il caso sull’omicidio di Nicola Vivaldo, trafficante di droga vicino alla cosca Gallace di Guardavalle e alla Locale di ‘ndrangheta di Rho, nel Milanese. Cinque dei destinatari della misura si trovavano già in carcere e due di questi sono detenuti in regime di carcere duro, al 41-bis. 

IL MOVENTE DIETRO L’OMICIDIO DI NICOLA VIVALDO

Erano le 23,30 del 23 febbraio del 2000 quando Nicola Vivaldo, sorpreso sotto casa a Mazzo di Rho, in provincia di Milano, veniva raggiunto da quattro colpi di pistola alla testa sparati a soli trenta centimetri di distanza. Un omicidio, un agguato, rimasto senza colpevoli per più di 25 anni. Ora risolto grazie alle dichiarazioni rilasciate dal pentito Emanuele De Castro, ex membro della locale di ‘ndrangheta di Lonate Pozzolo, nel Varesotto.

Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, Nicola Vivaldo sarebbe stato vittima di una vera e propria esecuzione. Il commando mafioso di cui faceva parte sospettava che fosse un confidente dei carabinieri. «E’ successo tutto questo perché Nicola si stava comportando male … ha fatto arrestare troppe persone». È quanto riferito da un collaboratore delle forze dell’ordine e riportato nel primo fascicolo di indagine sull’omicidio. E sarebbe avvenuto grazie alle sue soffiate anche l’arresto di Francesco Aloi, genero di Vincenzo Gallace e frequentatore del bar Snoopy di Rho, locale di proprietà di Vivaldo. 

Aloi era il braccio destro di Vincenzo Gallace e operava nel settore del noleggio dei videogiochi, al centro di diverse mire criminali nella provincia catanzarese di Soverato, sul Mar Ionio. Uno dei suoi impieghi principali, però, era quello di contrastare il gruppo mafioso rivale: Sia – Procopio-Tripodi. Il suo arresto nel febbraio del 2015 – all’interno di un nascondiglio ricavato al di sotto della cella frigorifero del ristorante “Molo 13” di Guardavalle – fu dunque un duro colpo per la cosca Gallace e fu l’evento che condannò a morte Nicola Vivaldo.

LE RIVELAZIONI DEL PENTITO EMANUELE DE CASTRO
Emanuele De Castro, detto “Il siciliano”, il pentito

De Castro, noto come “Il siciliano”, fu per molti anni il braccio destro di Vincenzo Rispoli, il boss della Locale di Lonate Pozzolo. Coinvolto in diverse inchieste, tra cui “Krimisa” (2000) e “Infinito-Crimine”(2010). De Castro godeva a tal punto della fiducia di Rispoli da essere deputato alla gestione dei soldi degli affari illeciti e da essere coinvolto nelle riunioni con i boss. 

Fu arrestato il 4 luglio del 2019 e da quel momento, incalzato anche dalle richieste del figlio Salvatore, scelse di collaborare con la giustizia: fu “una scelta di famiglia”, come la definì lui stesso. Da quel momento le informazioni consegnate alle pm Cecilia Vassena e Alessandra Cerreti sono state moltissime e, tra queste, anche quelle che hanno consentito di ricostruire la dinamica dell’omicidio di Nicola Vivaldo. 

DINAMICA DELL’OMICIDIO, MANDANTE ED ESECUTORI MATERIALI
Vincenzo Rispoli, mandante dell’omicidio

A dare l’ordine di uccidere Nicola Vivaldo fu Vincenzo Rispoli che, quando il gip Tommaso Perna ha firmato il mandato di arresto per omicidio aggravato, si trovava già in carcere in regime di 41-bis. Sul posto, però, c’erano Massimo Rosi, Stefano Scatolini e lo stesso Emanuele De Castro. «Vedemmo scendere una persona – ha raccontato De Castro agli inquirenti –. Quando andò via questa persona raggiungemmo l’auto (di Nicola Vivaldo, ndr) e, giunti vicino alla portiera, fu Massimo Rosi che sparò due o tre colpi mentre lui era ancora seduto. Io aprii la porta e basta. Massimo Rosi subito dopo scappò in macchina, mentre io mi assicurai che fosse morto. Eravamo entrambi armati. Avevamo due 7.65». Ad attenderli in macchina Stefano Scatolini, che fornì e guidò la Golf che servì per arrivare sul posto. Venne poi lasciata in mezzo alla strada per evitare di lasciare possibili vie di fuga.

Non irrilevante fu il ruolo di Stefano Sanfilippo, capo della locale di Rho e l’unico ancora libero al momento della decisione del gip Tommaso Perna. «Fu Sanfilippo a fare la soffiata per individuare la vittima» ha rivelato il pentito Emanuele De Castro.

A cura di Alessandra Falletta Ballarino

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