Nato a Monza ma milanese e milanista d’adozione, Daniele Massaro vanta due Champions League, quattro scudetti e tre Supercoppa Uefa con la maglia rossonera. Arrivato all’alba della stagione 1986-87 con molti più interrogativi che certezze, l’attaccante italiano fu il primo acquisto dell’era Berlusconi per quasi sette miliardi di lire. Poche parole, perché a parlare deve essere il campo, per convincere Sacchi prima e Capello poi di meritare il Milan. La voglia di non sprecare quell’occasione, ritagliandosi un ruolo sempre più da protagonista stagione dopo stagione fino all’apice: la doppietta in finale di Champions League nel roboante 4-0 contro il Barcellona. Ma non solo. I gol decisivi nei derby e quello in semifinale di Coppa dei Campioni contro il Monaco.
D’altronde, il soprannome “Provvidenza” non può essere casualità in un club che di fuoriclasse ne ha visti passare parecchi. E forse il legame così forte fra lui e il mondo rossonero, quasi viscerale, trova in uno scambio d’amore le sue radici più profonde. In quella voglia del calciatore di dare anima e corpo per la maglia, «per ripagare l’affetto impagabile dei tifosi che sono incredibili». Nella riconoscenza della gente che, per chi sposa il rosso e il nero nella buona e nella cattiva sorte, conserva un posto speciale nel tempo. A pochi giorni dall’acquisizione di Milan e Inter dell’area di San Siro, con la previsione di costruire un nuovo stadio nell’area limitrofa per il 2031, Daniele Massaro racconta in esclusiva a MasterX il suo rapporto speciale con uno degli stadi più iconici. «Unico», come lo definisce lui.
Il suo esordio a San Siro risale al 14 settembre 1986 contro l’Ascoli. Che effetto le fece giocare per la prima volta in quello stadio con la maglia del Milan?

La prima volta che misi piede a San Siro fu nel 1981, con la maglia del Monza. Il Milan era stato retrocesso in Serie B per lo scandalo calcio-scommesse, ma l’atmosfera era comunque diversa dalla maggior parte degli altri stadi. Appena sono entrato in campo mi sono emozionato. L’esordio con la maglia rossonera, però, è stato qualcosa di unico. Giocare davanti a quel pubblico e alla Curva Sud è indescrivibile. I nostri tifosi sono incredibili. E poi lo feci da primo giocatore acquistato da Berlusconi su consiglio del mio “padre calcistico”, Adriano Galliani (che lo ha voluto nelle giovanili del Monza dove è cominciata la sua carriera, ndr).
Due settimane più tardi il primo gol contro l’Atalanta, cos’ha provato in quel momento?
Qualcosa di indimenticabile e indescrivibile. Nonostante quell’annata non fu memorabile per me e per la squadra, in quel momento è iniziata la mia storia con il Milan. Il punto di partenza di un viaggio da sogno in cui mi sono guadagnato un posto da protagonista sul campo.
Lei è stato spesso decisivo: due gol nei derby, quello in semifinale di Champions contro il Monaco del ’94. Qual è il ricordo più bello che custodisce di San Siro?
Ho vissuti tanti momenti unici e i gol me li ricordo tutti, perché ognuno aveva una sua importanza. Quando giocavo dicevo che il gol più bello sarebbe stato quello successivo. Adesso però posso confidare che i due realizzati nei derby sotto la Sud, sono stati pura adrenalina. Vedere quella gente gioire ed emozionarsi per le tue gesta, è qualcosa di impagabile. E penso che in quegli anni abbiamo fatto qualcosa di veramente grande. Se mi guardo indietro dico “wow”.

Un momento che non rivivrebbe invece?
A San Siro sono pochi. Più in generale con il Milan, invece, senza dubbio la partita di Monaco contro il Marsiglia. Perdere una finale di Champions League è stato difficile da digerire. Ancora oggi quel ricordo mi suscita una certa amarezza.
Con la costruzione del terzo anello, lo stadio è diventato ancora più imponente. Lo percepiva da giocatore?
È stato un cambiamento significativo, lo ha reso ancora più imponente. Detto sinceramente non ho mai alzato gli occhi fino in cima per vedere quel muro umano, perché metteva i brividi. Però, vivere quel clima da giocatore è pazzesco: una marea di gente che spinge i giocatori e vive per i colori rossoneri.
Si respira un’aria diversa…
È unico. La Scala del calcio. Quando nel calcio si parla di dodicesimo uomo, San Siro ne è l’esempio emblematico. Con una spinta incredibile che ha indubbiamente contribuito a molti successi. Da giocatore ti senti in dovere di fare qualcosa di grande per ripagare tutta quella gente.
E quali altri in cui ha giocato si avvicinano per storia e atmosfera?
Ci sono dei campi diversi dagli altri. Penso subito al vecchio Old Trafford, al Bernabeu e al Camp Nou. Stadi, luoghi, iconici. Dagli spalti si può sentire l’odore del manto erboso, percepire le gocce del sudore che cadono. Qualcosa di straordinario.
San Siro sarà presto passato. Le dispiace o concorda nella scelta di costruire uno stadio più innovativo?

Certamente è stato rinnovato nel corso degli anni, ma oggi ci sono tanti limiti strutturali. Le cosiddette barriere architettoniche da abbattere, che lo rendono inadatto a ospitare le competizioni moderne. Il Real Madrid è stato d’esempio, sfruttando il periodo del Covid per rinnovare l’impianto. Anche se dispiace per la storia e il legame affettivo, è giusto che Milan e Inter abbiano uno stadio di proprietà per essere eccellenza del calcio italiano e realtà concreta di quello europeo.