Il 28 novembre durante la giornata di sciopero, incluso quello dei giornalisti per il rinnovo del contratto, un gruppo di manifestanti contro l’espulsione dell’imam Mohamed Shahin è entrato nella sede del giornale “La Stampa” a Torino, imbrattando i muri e danneggiando la struttura. Dura la condanna del mondo politico e non solo.
INCHIESTA APERTA
La procura di Torino ha aperto un’inchiesta e al momento sono trentasei le persone identificate dalla Digos. Gli vengono contestati i reati di danneggiamento, imbrattamento, invasione di edifici e violenza privata. Intanto continua l’analisi dei filmati di sicurezza per trovare gli altri responsabili, molti dei quali sono esponenti di Askatasuna, storico centro sociale della città. Altri di loro aderiscono a Ksa (Kollettivo studentesco autonomo) e Cua (Collettivo universitario autonomo). Tra i nomi compare anche quello del sedicenne che lo scorso ottobre aveva colpito con calci e pugni un agente della Digos intervenuto durante uno scontro davanti al liceo Einstein di Torino.
LA DINAMICA DEL BLITZ

Poco dopo le 13.30 del venerdì nero di sciopero, oltre duecento persone si sono dirette verso il quartiere San Salvario con un obiettivo ben preciso: la redazione del quotidiano. Cinquanta persone, con addosso un passamontagna per coprirsi il viso, sono riuscite ad introdursi all’interno dell’edificio passando per il bar aperto e forzando una porta con dei calci. Lì il primo avviso di una barista: «Non troverete nessun giornalista, oggi c’è sciopero e la redazione è vuota». Ma forse per i manifestanti era meglio così e a quel punto la parola d’ordine era una sola: distruzione. Muri imbrattati con bombolette spray, giornali, libri e taccuini sparsi per terra e due sacchi di letame scaricati davanti all’ingresso della struttura.
La motivazione l’hanno detta gli stessi manifestanti: «Siamo qui per dire che la vostra narrazione ci fa. Questo giornale si schiera sempre dalla parte sbagliata, è sempre al servizio della questura». Ad innescare l’attacco violento è stata soprattutto la vicenda di Mohamed Shahin, il 47enne egiziano che rischia un rimpatrio immediato in Egitto e che, secondo i manifestanti, è stato «dipinto come un terrorista» dal giornale torinese. Il blitz è terminato poco dopo le 14.00 con l’arrivo di cinquanta agenti in tenuta antisommossa, anche se gli attivisti – riscavalcando il cancello al grido «Free Palestine» – hanno lasciato la sede del quotidiano in autonomia. Ormai il danno era stato fatto.
PERPLESSITÀ PER LE PAROLE DI ALBANESE

La vicenda è stata duramente condannata dal mondo politico, a partire dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Anche Giorgia Meloni ha espresso al direttore del quotidiano la vicinanza a nome del Governo. La premier parla di «fatto gravissimo da condannare senza ambiguità» e ribadisce che «la libertà di stampa è un bene da proteggere ogni giorno». Così il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio: «Quanto accaduto alla redazione de “La Stampa” è inaccettabile. Ancora una volta c’è chi confonde il diritto al dissenso e all’espressione delle proprie idee con la violenza, gli attacchi e la devastazione».
Fuori dal coro, invece, la frase di Francesca Albanese, la relatrice Onu diventata cittadina onoraria di Bologna il sei ottobre scorso. «Non bisogna commettere atti di violenza nei confronti di nessuno, ma al tempo stesso che questo sia un monito alla stampa per tornare a fare il proprio lavoro», ha commentato, suscitando non poche perplessità.
A prendere le distanze da questa Carlo Bartoli, presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti: «Sono irresponsabili e pericolose. Nessuna giustificazione, nemmeno indiretta o con una condanna di facciata, può essere concessa a chi mette i giornalisti nel mirino». Ha poi aggiunto: «Ricordo alla Albanese che i giornalisti italiani sono ancora oggi i più bersagliati in Europa sia dalla violenza che dalle azioni giudiziarie intimidatorie e che hanno alle spalle un pesante tributo di sangue. Nessuna concessione a chi giustifica tali comportamenti. La libertà di stampa non è uno slogan».