«Pamela era una ragazza a cui piace sempre scoprire cose nuove».
«Pamela era una ragazza solare, ciò che colpiva di lei era l’esuberanza, non stava mai ferma, non si riposava mai».
«Pamela era una ragazza che voleva vivere».
Pamela Genini è stata uccisa. Aveva 29 anni. Il 14 ottobre il suo compagno, Gianluca Soncin, l’uomo che doveva amarla, l’ha colpita con trenta coltellate. A parlare sono le sue amiche Elisa Bartolotti e Nicole Limonta e il suo ex fidanzato Francesco Dolci.
«Ci siamo conosciute otto anni fa a Milano Marittima per un lavoro da ragazze immagine. Ci vedevamo spesso e facevamo vacanze insieme. L’amicizia tra me e lei era al livello di due anime da bambine, a cui piaceva fare cose semplici». Racconta Elisa, amica e socia di Pamela, con cui aveva fondato anche una piccola start-up di costumi da bagno. «Lei con me si confidava, forse perché studio psicologia, mi chiedeva di capire alcuni dei comportamenti di lui che non le sembravano normali». Quando Elisa ha incontrato Gianluca Soncin, 52enne di Biella, killer di Pamela, la prima impressione è stata positiva: «Si presentava bene, era ben vestito, possiamo dire simpatico, poi Pamela ha iniziato a raccontarmi degli episodi e le cose sono cambiate».
I bei vestiti, le auto costose, le gite, l’atteggiamento da ricco imprenditore di successo erano solo immagine. I soldi erano del padre, Soncin non aveva un lavoro stabile. La sua vita era fatta di un falso sfarzo che nascondeva alcol e violenza. Alle spalle anche casi di maltrattamenti in famiglia, denunciati nel 2011 dall’ex moglie con cui Soncin ha avuto un figlio, ora adulto.

«Lui era geloso anche delle persone che si fermavano a fare i complimenti al cane. Pensavo fosse un po’ paranoico perché era più grande di Pamela e magari si sentiva inferiore per questo. Poi un giorno lei mi ha mandato la foto di un graffio sotto gli occhi». In uno scatto d’ira Soncin ha afferrato il viso di Pamela con la mano e stringendo con rabbia le ha graffiato lo zigomo. «A quel punto ho detto che doveva allontanarsi: lei ci ha provato piano piano, aveva paura a farlo di colpo, lui la manipolava». Era riuscito a farle mettere in dubbio che fosse giusto allontanarsi. Era riuscito a far sì che lei si colpevolizzasse. Era riuscito a tenere Pamela vicino a sé nonostante la paura. Anzi, grazie alla paura.
Nicole, amica di Pamela da quando erano adolescenti, racconta un altro episodio. «Una volta Pamela mi ha chiamato perché doveva andare a Venezia per lavorare con degli sponsor. Ma quando ho risposto al telefono lei era in lacrime. Mi ha raccontato che lui le aveva strappato il vestito, l’aveva afferrata per i capelli. Lui doveva accompagnarla ma l’ha aggredita quando Pamela aveva scritto ad un fotografo (pagato da lei) per avere delle foto di ricordo dell’evento. Ha preso la valigia e gliel’ha lanciata addosso, colpendola sul dito». Era il 4 settembre. Pamela si è poi recata all’ospedale di Seriate, nella bergamasca, dove le hanno fasciato il dito fratturato con una prognosi di 20 giorni. Ma non ha sporto denuncia. «Il giorno dopo, quando l’ho risentita, ha iniziato a giustificarlo. Diceva che non aveva fatto apposta a colpirla con la valigia, che era perché non aveva preso le medicine».
Poi è arrivato quel martedì 14 ottobre.
Quando gli agenti e i vigili del fuoco hanno buttato giù la porta dell’appartamento al terzo piano a Gorla la situazione davanti ai loro occhi era tragica. Pamela Genini era a terra. Gianluca Soncin aveva ancora il coltello da caccia in mano, l’arma con cui ha inferto quasi trenta coltellate alla compagna. Il killer l’aveva trascinata sul balcone ed è lì che aveva iniziato a colpirla, sotto gli occhi terrorizzati dei vicini che hanno avvertito la polizia. A chiamare i soccorsi è stato anche Francesco Dolci, ex compagno di Pamela, che lei stessa aveva avvisato telefonicamente al momento dell’aggressione.
«Credo di aver fatto il possibile per salvarla. Ma il “Mostro” aveva il suo obiettivo quella notte: uccidere Pamela. E probabilmente non si sarebbe fermato lì. Aveva altre armi». Anche Nicole sottolinea: «Se fossi stata là, io o un’altra amica di Pamela, poteva uccidere anche noi. Poteva ammazzare chiunque». La passione di Soncin per le armi è stata confermata dagli investigatori che hanno trovato nell’appartamento del killer una collezione di tredici coltelli, cutter e una pistola. Violento e manipolatore, così Dolci descrive il “Mostro”, così lo chiama. «Lui aveva iniziato un’escalation di violenza e crudeltà. La manipolava fino a farla sentire in colpa. Pamela voleva denunciarlo, voleva scappare, ma prima voleva essere sicura di avere un posto dove stare. E io ero pronto a darle quel posto». Nonostante la relazione tra i due fosse terminata rimaneva un profondo affetto a legarli. «Anche se non avevamo più una relazione c’era un forte sentimento tra noi, io le stavo vicino. Perché l’amore non finisce quando finisce una relazione».

Purtroppo, ci ricorda Dolci, alcuni sono mostri più che persone. «Il Mostro, Soncin, aveva fatto una copia delle chiavi di casa di Pamela. Proprio quando lei si sarebbe dovuta trasferire a casa mia, lui l’ha uccisa. Lei cercava di scappare, era pronta a farlo». Nicole ricorda: «Quella sera ho visto una notifica da parte di un’amica che non sentivo da un po’. Ho pensato fosse strano che mi avesse scritto. Quando ho guardato meglio ho letto il nome di Pamela. Poi le parole “uccisa” e “accoltellata”. Non sono riuscita ad aprire il messaggio». Mentre Elisa: «Quando mi sono svegliata il 15 ottobre ho acceso il telefono e ho visto i messaggi di Francesco e Nicole. Non ci credevo. Sono andata su Google e ho cercato. Poi ho trovato la notizia ufficiale. Non sono più riuscita ad andare davanti a quella casa, dove è stata uccisa. Mi mette una sensazione troppo negativa. Non riuscirei a passarci nemmeno vicino».
Pamela Genini è morta la sera del 14 ottobre 2025. Le trenta coltellate, di cui almeno tre al torace, si sono rivelate fatali. All’arrivo delle forze dell’ordine non c’era già più nulla da fare per la 29enne. È la settantaquattresima vittima di femminicidio in Italia da inizio anno.
Francesco Dolci ci racconta uno degli ultimi momenti passati con lei: «Eravamo usciti a cena e poi siamo andati in un locale. Pamela era felice come una bambina. “Mi sento libera” mi diceva. Lei voleva solo uscire e fare cose semplici. Era felice. Mi ha detto “Ora torno a vivere, torno a respirare”».