Ricordate quando bastavano le prime tre note per capire che sarebbe stata quella la canzone dell’estate? Che sentivi in radio, in spiaggia, nei supermercati, nei reel Instagram e quasi quasi pure mentre aspettavi la linea col servizio clienti? Bene, quell’epoca potrebbe essere finita e non è (solo) nostalgia.
L’estate 2025 sembra aver rotto un rito che ci accompagna da decenni: non c’è – almeno finora – un tormentone estivo vero e proprio. Quella hit totalizzante, onnipresente, che si insinua nelle orecchie e non le lascia più o semplicemente non si è ancora fatta sentire… e siamo a metà luglio.

La produzione musicale non si è certo fermata. Le uscite abbondano, i beat sono in loop, ma nessun brano ha conquistato il dominio assoluto. Anzi, ognuno ascolta qualcosa di diverso, in un panorama sempre più frammentato. Se in passato bastava un motivetto da spiaggia per unire generazioni e gusti oggi è come se l’egemonia sonora dell’estate fosse evaporata.
L’eccesso di tutto (e il sapore di niente)
L’industria musicale non aspetta più l’estate per lanciare una canzone forte: punta ad avere hit virali tutto l’anno. Ogni artista deve pubblicare singoli con regolarità ossessiva, almeno ogni tre mesi, pena la scomparsa dall’algoritmo (e quindi dalla scena). Ma l’effetto collaterale è evidente: un’overdose di musica, spesso costruita su brevi momenti di alta intensità pensati per TikTok e Reels.
30 secondi. Questo è il nuovo standard: pezzi pensati per funzionare nel tempo di uno scroll. Le canzoni nascono già “virabili”, con drop, hook e ritornelli progettati per essere montati su video ma fuori dai social, resta poco o nulla.

Ecco perché la durata del tormentone si è accorciata, e la sua memoria anche. I brani diventano virali, ma non lasciano traccia. Dopo una settimana, spesso già annoiano. I beat sono gli stessi, i testi sembrano filastrocche: si ascolta, si consuma e si passa ad altro, senza avere neanche il tempo di masticare (e figuriamoci digerire) un singolo e tantomeno un album.
Anche generi che hanno sempre dominato, come il reggaeton, mostrano segni di esaurimento. I pattern sonori, che avevano portato una ventata di freschezza a metà anni 2010, oggi risultano prevedibili, ripetitivi, inefficaci. Il pubblico sembra aver sviluppato una resistenza inconscia a questi codici sonori: serve altro ma non si sa bene cosa.
Tanti tentativi, nessun vincitore

Non sono mancati i candidati al trono estivo. Anna, forte del successo del 2024 con 30 gradi, torna in vetta con Desolée, consolidandosi come regina del rap-pop. Alfa e Manu Chao provano a unire mondi con A me mi piace, mentre il duo pugliese Serena Brancale e Alessandra Amoroso lancia Serenata, pezzo dalle sonorità solari e malinconiche.
Sfera Ebbasta e Shiva firmano Neon, Elodie e Sfera (ancora) insieme in Yakuza, mentre Annalisa inverte i ruoli di genere con Maschio. Tutti brani forti, curati, orecchiabili ma nessuno che riesce davvero a imporsi come hit. Sono tutti potenziali tormentoni e forse è proprio questo il limite.
Il ritorno al passato (se il presente non funziona)
La prova più evidente di questo vuoto è che una nota marca di gelati – quella che da anni cavalca la hit del momento – ha scelto per il suo spot 2025 la nostalgica Felicità di Al Bano. Un classico ritorno rassicurante in grado di dimostrare che in mancanza del nuovo si torna sempre a quando si è stati bene.
È giunto il momento dei tormentoni che ci faranno da sottofondo nella bella stagione ma… noi non abbiamo ancora superato alcuni brani iconici del passato (soprattutto dopo aver appreso che è già trascorso un decennio dal primo ascolto) https://t.co/M53IsWhWIn
— Vanity Fair Italia (@VanityFairIt) July 14, 2025
Sempre più ascoltatori, disillusi dall’omologazione e dalla saturazione, si rifugiano nei classici o nella ricerca di suoni autentici, magari lontani dai trend algoritmici. Ma non tutto sembra perduto e capita che la “canzone dell’estate ” di qualcuno diventi Sciallà dei Nu Genea, o magari un pezzo intimo di Emma Nolde o Sayf ma anche Tredicipietro e la lista che potrebbe essere molto più lunga.
Un cambiamento culturale, non solo musicale
Quello che stiamo vivendo non è solo un calo nella produzione musicale estiva, ma un cambiamento profondo nel modo in cui fruiamo la musica. L’ascolto è diventato più personale, disgregato e “on demand”. Ognuno si costruisce la propria “estate sonora”, senza più attendere la canzone universale che ci rappresenti tutti.
Persino nei testi si nota il cambiamento: pochissimi riferimenti espliciti all’estate, né nei titoli né nei suoni. Quando ci sono, sembrano forzati. Per alcuni è un bene: meno cliché, più libertà espressiva. Per altri, è la perdita di un rituale collettivo.
Eppure, fino a pochi anni fa era tutto diverso: nel 2024 Sesso e samba è stato in vetta per 12 settimane. Italodisco, 11 settimane da protagonista nel 2023 mentre nel 2022 La dolce vita è rimasto un trionfo da giugno ad agosto.

Ora quel modello sembra logoro. All’apice dell’era dello streaming, le regole si stanno riscrivendo con gli artisti a rincorrere la visibilità e l’attenzione che sfugge. Mentre il pubblico frammenta e seleziona il mercato si satura e la hit perfetta diventa invisibile, indistinguibile fra tante.
Non sarà sicuramente un’estate senza musica, ma magari senza una canzone che metta d’accordo tutti sì. Anche se in fondo, non è detto che sia un male. Forse la libertà di scegliere il proprio tormentone personale vale più di avere tutti la stessa canzone in testa o forse, anche se dà fastidio ammetterlo, una hit estiva ci mancherà.