IN DIRETTA DA WIMBLEDON
C’è odore d’erba tagliata, le sedie bianche si riempiono lentamente e le fragole con panna si vendono già prima delle undici. A Wimbledon, nulla è fuori posto. Il brusio che si alza dal Centre Court è quello delle grandi occasioni. Essere qui significa toccare con mano la storia del tennis, che da quasi 150 anni si scrive ogni estate nel sud-ovest di Londra.
Le origini del mito
Wimbledon è il più antico torneo del mondo. Correva l’anno 1877 quando ventidue uomini si iscrissero a una competizione promossa dal All England Croquet and Lawn Tennis Club. L’iscrizione costava 11 sterline, il vincitore si chiamava Spencer Gore, e nessuno — allora — poteva immaginare che quell’erba sarebbe diventata sacra.
Il torneo femminile arrivò pochi anni dopo, nel 1884. A trionfare fu Maud Watson. Nel 1905, la californiana May Sutton divenne la prima vincitrice straniera. Wimbledon aveva già superato i confini dell’isola.

Guerra e ricostruzione
La storia si ferma due volte, ma non si spezza: durante la Prima e la Seconda guerra mondiale, Wimbledon tace. Nel secondo conflitto, il club viene bombardato. I campi restano miracolosamente intatti, ma i parcheggi si trasformano in orti e piccoli allevamenti.
«Uno dei parcheggi è stato arato per coltivare verdure», racconta John Barrett, autore della Storia ufficiale di Wimbledon. «Un altro ospitava maiali, polli, anatre, oche e conigli in casette di legno». Nel 1946, si riparte. Vince il francese Yvon Petra, reduce da cinque anni di prigionia in Germania. È la vittoria della resilienza e il primo segnale che Wimbledon è tornato.

L’era moderna e la rivoluzione Open
Per quasi un secolo, Wimbledon fu riservato ai dilettanti. Solo nel 1968, con l’avvento dell’era Open, i professionisti furono ammessi. «I baroni del tennis della Gran Bretagna sfidano la tradizione», scriveva ESPN nel 1967, «e votano in modo schiacciante per abolire la linea tra dilettanti e professionisti».
Fu un cambio epocale. Rod Laver vinse e incassò 2.000 sterline. Billie Jean King ne guadagnò 750. Le distanze di genere erano ancora siderali.
Nel 1957, Althea Gibson scrisse un’altra pagina fondamentale, diventando la prima donna nera a vincere Wimbledon. La premiò la regina Elisabetta, al suo debutto ufficiale sui campi in bianco e verde.
Le leggende e le icone
Gli anni ’70 e ’80 trasformarono il torneo in teatro di duelli leggendari: Borg contro McEnroe, Navratilova contro Evert.
Martina Navratilova, regina incontrastata, vinse nove titoli: «Questo supera tutto», disse nel 1990.
E poi c’è lui, John McEnroe, con quella sfuriata rimasta scolpita nel tempo. “You cannot be serious!”. Un grido diventato titolo della sua autobiografia e icona del tennis stesso.
Poi arrivarono le sorelle Williams: potenza, grazia e determinazione. Tra il 2000 e il 2010, Venus e Serena si affrontarono quattro volte in finale, scrivendo una dinastia familiare che ha cambiato per sempre il volto del tennis femminile.

I Big Four e la parità di genere
Dal 2003 al 2022, Wimbledon è stato dominio dei Big Four: Federer, Nadal, Djokovic, Murray. Su tutti, Roger Federer, con otto trionfi: elegante come l’erba sotto le sue scarpe bianche.
Nel 2007, grazie alla battaglia condotta da Venus Williams, il torneo accettò finalmente la parità dei montepremi. «Crediamo che la nostra decisione fornisca una spinta per il gioco nel suo complesso», dichiarò Tim Phillips, allora presidente del club. «Buono per il tennis, buono per le giocatrici, buono per Wimbledon».
Reali e rituali
Il legame con la monarchia è da sempre parte del fascino. Per anni, i trofei furono consegnati dal Duca di Kent. Dal 2016, il volto è quello di Kate Middleton, oggi patrona del torneo. «Mi ha ispirato fin da giovane», ha raccontato alla BBC. «È una parte fondamentale dell’estate inglese». E in effetti, a Wimbledon si respira un’eleganza che va oltre il tennis.

Un nuovo stop forzato
Nel 2020, il silenzio tornò. Per la prima volta dal 1945, il torneo fu cancellato a causa della pandemia di Covid-19. L’annuncio arrivò il 1° aprile, ma non si trattò di un pesce d’aprile.
Le ipotesi di disputarlo a porte chiuse furono accantonate in fretta. «Almeno 5.000 persone avrebbero dovuto comunque essere presenti», spiegò l’ex tennista Tim Henman.
Eppure, Wimbledon era pronto. Dal 2003, dopo la SARS, il club aveva sottoscritto una polizza contro le pandemie: 1,61 milioni l’anno. La decisione si rivelò lungimirante: ne incassarono 114, a fronte di perdite stimate di 250 milioni.
Polemiche geopolitiche
Due anni più tardi, un’altra decisione scosse Wimbledon: nell’aprile 2022, in seguito all’invasione russa dell’Ucraina, ai tennisti russi e bielorussi fu vietata la partecipazione al torneo, anche in forma neutrale.
Una linea più rigida rispetto a quella adottata da ATP e WTA, che reagirono revocando i punti validi per il ranking internazionale. «È una discriminazione basata sulla nazionalità», dichiararono in un comunicato congiunto ATP, ITF e WTA.
Il divieto fu poi revocato nel marzo 2023.
Il futuro è elettronico
Nel 2025, Wimbledon cambia ancora pelle. Per la prima volta nei suoi 147 anni, spariscono tutti i giudici di linea. Al loro posto, la chiamata elettronica. L’All England Club archivia così un’altra delle sue immagini simbolo: il giudice di linea in giacca blu scuro, immobile a bordo campo. Un addio a una parte di quell’eleganza che da sempre contraddistingue Wimbledon.
