Non ha la sfera di cristallo e non legge nella mente delle persone. Ma ci parla, le comprende e prova a intuire quale partner possa fare al caso loro. Di questo si occupa Simona Muscari, specializzata in matchmaking. Una professione ancora da sdoganare in Italia. «Ma alla fine sono come un’amica che fa conoscere due persone. Solo che lo faccio a pagamento».
Di che cosa si occupa più precisamente una matchmaker?
Purtroppo in Italia è una figura ancora sconosciuta o quasi, mentre in America e all’estero è sicuramente più sdoganata. Ma da noi le cose meno tradizionali sono spesso viste in malo modo. O comunque con sospetto. Matchmaking significa letteralmente “combinare degli incontri”, però io in questo caso non sono altro che l’evoluzione della classica e vecchia agenzia matrimoniale italiana o agenzia per single. Solo che queste lavorano in maniera passiva. Io invece in maniera attiva. Come l’agenzia interinale trova le figure professionali per le aziende, io faccio la stessa identica cosa a livello sentimentale.
Qual è la differenza principale fra quello che propone lei e una qualsiasi applicazione di incontri?
La differenza è abissale. Nelle chat entra chiunque e ognuno può spacciarsi per qualcun altro, rubando foto o inventando informazioni sul proprio conto. Io invece appena ho un contatto telefonico cerco informazioni su questa persona. In seguito facciamo prima una consulenza video e poi una in presenza. Quindi ho modo di vedere con chi mi devo rapportare. E chiedo un certificato di stato libero, di morte o di divorzio. Da me non possono venire persone ancora impegnate. Ma a loro non converrebbe neanche. Perché me ne accorgerei in fretta. E loro a quel punto avrebbero solo buttato soldi inutilmente.
Che tipo di persone si rivolgono a lei?

Tendenzialmente uomini e donne in carriera. Più donne che uomini, direi un 60%. Ma anche personaggi dello spettacolo. In generale sono tutte persone molto impegnate sul lavoro che vengono da me perché non vogliono perdere tempo. Io da questo punto di vista offro una scorciatoia nell’ottica di trovare un partner. Sono io che filtro per loro, così che possano poi sfruttare il poco tempo libero per vedere qualcuno che io reputo adatto. Sono persone quasi sempre abituate a viaggiare e quindi non hanno problemi a muoversi dall’Italia per incontrare l’altra persona. Perché soprattutto quelle più mature contano più sulla qualità dell’incontro che sulla quantità. E poi li aiuto a non rischiare di essere avvicinati da chi si interessa solamente del loro status socio-economico.
C’è una distinzione fra chi vuole cercare un partner e chi invece si rende disponibile a essere “matchato”?
Io offro due pacchetti principalmente: uno attivo e uno passivo. Entrambi sono a pagamento perché mi sono resa conto che spesso se uno non paga non è serio. L’attivo è per quelli che mi richiedono di trovare loro un possibile partner e si divide in tre livelli: quello base che limita la ricerca all’Italia costa 15mila euro; quello in tutta Europa 30mila e quello a livello mondiale 50mila. Quello passivo invece costa 5mila euro. In questo caso io creo una sorta di curriculum della persona e poi lo sottopongo ai clienti attivi che stanno cercando un profilo con quelle caratteristiche.
Qual è il momento più complicato del suo processo di ricerca del partner ideale da proporre al cliente?

Le maggiori difficoltà le trovo quando mi vengono fatte richieste molto specifiche e difficilmente esaudibili. In alcuni casi quando capisco che queste non sono consone al buon senso decido io stessa di “respingere” il cliente. Però ad esempio ho avuto a che fare con un quarantenne americano che voleva una ragazza di 25-30 anni che fosse vegetariana o vegana e disposta a trasferirsi da lui. Ho dovuto rivedere con lui il parametro dell’età e comunque non sono riuscita a trovare quello che cercava, nonostante pensassi di poterlo fare. Perché altrimenti se sono certa di non poter aiutare qualcuno lascio perdere. Le sfide mi piacciono ma voglio anche fare le cose per bene.
Riesce spesso ad accoppiare le persone che le chiedono aiuto?
Nell’arco dei dodici mesi inclusi nel pacchetto riesco molto spesso a unire due persone. In caso contrario non c’è un vero e proprio rimborso, ma prolungo di altri dodici mesi il pacchetto e mi occupo io stessa delle spese. Nei 24 mesi il 98-99% delle persone trova un partner che li soddisfi.
E rimane in contatto con queste persone?
No, di solito si dimenticano di me. Soltanto una persona mi ha invitata al matrimonio. Molte altre mi hanno detto di essersi sposate quando le chiamavo per avere dei feedback sul mio lavoro, ma non me lo avevano detto prima.
Le dispiace?
Lo metto in conto. In Italia poi quasi nessuno ammette di essere passato tramite una “matchmaker”. Più facilmente dicono di aver conosciuto il partner grazie a un’amica. E alla fine io faccio più o meno questo, però a pagamento. Quindi direi che alla fine rimane quasi sempre solamente un rapporto professionale.

Lei è l’unica matchmaker a Milano al momento. Pensa che questa professione abbia velleità di espansione?
Io sto investendo e faticando per far capire che come oggi ci si affida al personal trainer per la palestra, in ambito relazionale ci si dovrebbe appoggiare liberamente alle figure come la mia. Ma non so se la realtà cambierà. Quando vado ad alcuni eventi, gli italiani sono spesso quelli che meno comprendono questa professione. Mentre in America è una pratica più diffusa. Infatti lavoro molto con loro e con gli europei.
A fine carriera lavorativa si riterrebbe soddisfatta se…?
Ho aperto da poco una mia accademia in cui cerco di insegnare la mia professione. Sarei contenta se fra un po’ di anni ci dovessero essere molte altre “matchmaker”. Delle piccole me sparse per l’Italia con la volontà di provare a rendere felici diverse persone. Perché in questo mestiere più la rete è diffusa, più diventa concreta la possibilità di accontentare le persone a livello sentimentale.