
“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Articolo 27, Titolo I, Rapporti civili, Costituzione italiana. Eppure, uno dei grandi problemi che ogni sistema penitenziario deve affrontare, ancora oggi, è proprio quello del reinserimento dei detenuti nella società.
Il ruolo del lavoro per abbassare la recidività
Nel 2021 l’osservatorio Antigone ha visitato 96 istituti di detenzione in tutta Italia: dai dati raccolti durante le visite risulta che, in media, lavorava all’interno del carcere solo un terzo – il 33% per la precisione – dei detenuti, e solo il 2,2% per datori di lavoro esterni. Ai corsi di formazione professionale partecipa solo il 2,3% della popolazione carceraria.
In Italia, il tasso di recidiva tra coloro che hanno scontato una pena in carcere è del 68%. Ma le probabilità che si torni a delinquere si abbassano sensibilmente se, durante la detenzione, la persona detenuta ha avuto la possibilità di accedere a corsi di istruzione e formazione e se le viene offerta l’opportunità di lavorare. Per i detenuti che non svolgono programmi di reinserimento, il tasso di recidiva sfiora il 90%, tra coloro che vengono accolti in un contesto socio-lavorativo scende al 10%.
L’arte pubblica come mezzo di reinserimento

In parallelo al “lavoro carcerario” vi sono anche altre iniziative per aiutare a reintrodurre il detenuto nel tessuto sociale. Un esempio è il progetto “Superfici dell’immaginazione”, presentato il 17 marzo alla Pinacoteca di Brera. Un’idea di Alessandro Pellarin, fondatore e presidente dell’ente no profit Artamica APS, patrocinata dalla Pinacoteca. «Con i penitenziari ho già lavorato a parecchi progetti», dichiara Pellarin, attivo con la sua organizzazione soprattutto nel Municipio 4 (Milano): «Questa volta ho pensato a un progetto che fosse di accompagnamento per le persone ristrette che fossero in uscita dal carcere, detenuti in Articolo 21, ossia che hanno già fatto un percorso e a breve rientreranno nella società.» L’articolo dell’ordinamento penitenziario prevede che i cercerati e gli internati assegnati al lavoro all’esterno sono avviati a prestare la loro opera senza scorta, salvo che essa sia ritenuta necessaria per motivi di sicurezza. Gli imputati sono ammessi al lavoro all’esterno previa autorizzazione della competente autorità giudiziaria.
Il tema centrale del progetto “Superfici dell’immaginazione”
Come spiega Pellarin, il progetto “Superfici dell’immaginazione” è un’opera d’arte su due pareti per una superficie di 60 metri lineari per 2 metri e 75 di altezza. È quindi una realizzazione imponente all’interno della prima cinta muraria del carcere di massima sicurezza di Opera, il cui tema centrale sarà il tempo: due pareti dipinte con linee sinuose che si aprono e si chiudono, per portare la riflessione sul tempo all’interno e all’esterno del carcere. Il tutto diretto dal visual artist Carlo Galli. L’opera sarà presentata il 20 maggio all’interno dell’istituto penitenziario. Mentre il 26 sarà protagonista di un evento pubblico alla Pinacoteca di Brera, dove i reclusi coinvolti condivideranno i loro percorso artistico e personale.

Partecipare all’arte pubblica può aiutare le persone fragili, in questo caso i detenuti, a viversi come parte attiva della società. «Dal punto di vista della ricerca medica – spiega il fondatore di Artamica – è provato che visitare un museo migliora l’umore nelle ore successive. È un luogo di bellezza, e la bellezza fa vivere meglio».