
La Siria sembra destinata a non conoscere la pace. L’8 dicembre scorso, la caduta del governo di Bashar al-Assad sembrava aprire le porte ad una possibile rinascita dello stato medio orientale. I toni moderati dell’autoproclamato presidente al Jolani promettevano tolleranza verso tutti i credi e le etnie dello Stato. Eppure dopo appena tre mesi sono cominciati i massacri di civili alawiti, la stessa tribù dell’ex presidente al-Assad.
La situazione
Secondo i dati dell’Ong Osservatorio siriano dei Diritti umani, negli ultimi tre giorni i morti sono stati oltre mille, di cui 830 civili alawiti uccisi dalle forze filo-governative. Il governo siriano ha aperto un’indagine sul caso: è stata creata una commissione d’inchiesta indipendente per indagare sui fatti avvenuti negli ultimi giorni. L’istituzione di questa delegazione è però giunta solo dopo forti pressioni internazionali. Il presidente Ahmad al-Sharaa (al Jolani) ha affermato che quanto sta accadendo era una «sfida prevedibile», ma che è anche necessario che le violenze si fermino per ritrovare la pace e l’unità nazionale. «Riterremo responsabile, con fermezza e senza clemenza, chiunque è coinvolto nello spargimento di sangue di civili o che ha oltrepassato i poteri dello Stato» ha poi aggiunto al-Sharaa.

Le violenze contro i civili si stanno compiendo principalmente lungo la costa, tra le città di Latakia e Tartus, considerate le due roccaforti degli alawiti. Si tratta di una popolazione araba, una setta dei mussulmani sciiti. Erano i dominatori grazie al loro presidente al-Assad. Ora le parti si sono invertite, i dominati sono diventati gli oppressori ed è il momento della vendetta. I sunniti sono gli artefici dei pogrom, non solo nei confronti degli alawiti ma anche di tutta la popolazione cristiana. Un odio religioso che è riesploso e che sembra destinato a dominare lo Stato siriano. Le parole del presidente al-Sharaa rimangono tali, non c’è la volontà di intervenire, né di condannare le violenze. Il dittatore non può essere da meno del precedente, deve dimostrarsi forte e spietato per evitare contestazioni interne.