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È passato più di un mese da quando Trump è stato eletto il 47esimo Presidente degli Stati Uniti. Un mese in cui la sua voce si è imposta su tutte le questioni del mondo. Dall’altra parte, i democratici faticano a rispondere. Carenti di un vero leader, senza media forti dalla loro parte (i repubblicani hanno Fox News dalla loro), sembrano annichiliti dal risultato delle elezioni del 5 novembre e incapaci di riprendersi.
Anche senza leader, però, i cittadini liberali, democratici e progressisti hanno scelto di non rimanere a guardare senza agire. Migliaia di persone hanno riempito le strade di città americane per protestare contro le azioni del Presidente e del suo governo. Manifestazioni organizzate da gruppi politici o azioni spontanee cercano di essere una risposta a Trump in un momento in cui l’opposizione politica sembra inesistente.
50 Stati, 50 proteste, 1 giorno
Il movimento 50501 è cominciato come una discussione online su Reddit contro l’amministrazione Trump e il ruolo di Elon Musk («Sono qui perché Elon Musk è dove non dovrebbe essere», le parole di un manifestante del gruppo). Il nome sta per “50 stati, 50 proteste, 1 giorno”, ed è l’hashtag che, insieme a “#buildtheresistance”, ha guadagnato sempre più spinta. La prima protesta del movimento è avvenuta il 5 febbraio nelle capitali di moltissimi Stati tra cui California, Minnesota, Michigan, Texas, Wisconsin, Indiana (gli ultimi quattro Stati erano andati a Trump durante le elezioni). Il gruppo ha dichiarato che ci sono state 72mila persone nelle 67 proteste in 40 Stati diversi. La seconda protesta è stata organizzata durante il Presidents’ Day, il 17 febbraio.
“Not my President’s day”
Il Giorno dei presidenti, è la festività organizzata per celebrare i presidenti americani durante la ricorrenza del compleanno di George Washington. Quest’anno è stata però l’occasione per molti di ribadire “Not my President day” e “No kings on President day”. Il tema di “No Kings” è stato scelto dal movimento 50501, echeggiato da cartelli recanti scritte come “Deport Musk, Dethrone Trump”. Le manifestazioni durante questa ricorrenza hanno avuto luogo in tutta America, dall’Alaska alla California, dal Massachusetts alla Florida. Le persone presenti alla protesta non si sono risparmiate cartelloni e scritte che attaccano direttamente l’amministrazione Trump e quello che viene visto come un vero e proprio attacco alla democrazia e ai diritti (“Hands off my rights”, “We the people demand justice”), mentre altri si sono vestiti con abiti che rimandano alla Rivoluzione d’Indipendenza e incitano all’azione: “America, fight like it’s 1775!”.

“Melt ice!”
Le manifestazioni più grandi sono state quelle in protesta alle deportazioni che il presidente USA vuole attuare contro gli immigrati irregolari. I cittadini di Los Angeles si sono mobilitati in massa. La capitale della California, confinante con il Messico, ha un’altissima percentuale di immigrati e le proteste sono state di enorme portata. Il due febbraio diverse migliaia di persone si sono riunite a Downtown, per poi procedere in marcia fino ad occupare parte della Hollywood Freeway, causando notevoli problemi al traffico cittadino. I manifestanti mostravano con orgoglio bandiere Messicane, Portoricane, Salvadoregne e Domenicane. La protesta si è pacificamente spenta e i manifestanti hanno poi liberato l’autostrada, come affermato dalla polizia di Los Angeles.
Anche l’altro lato dell’America ha visto importanti manifestazioni, una delle quali è avvenuta a New York, il 14 febbraio, esplicitamente organizzata contro l’Immigration and Customs Enforcement, la ICE, responsabile dell’immigrazione. La manifestazione è infatti cominciata davanti all’ufficio dell’agenzia, con i partecipanti che urlavano “Melt ice”, con un ingegnoso gioco di parole.
Proteste da Broadway
Anche dal mondo di Broadway arrivano proteste. Il cast di Hamilton, il musical che racconta la storia della fondazione dell’America dagli occhi di Alexander Hamilton, ha cancellato la sua apparizione al Kennedy Center per la celebrazione dei 250 anni dalla Dichiarazione d’Indipendenza. Trump ha infatti preso possesso del più importante e attivo centro di performing arts situato a Washington, il Kennedy Center. La scena culturale da sempre progressista si è vista messa all’angolo quando Trump ha di fatto licenziato la presidente del centro Deborah Rutter per mettere al suo posto a Ric Grenell che «condivide la visione della Golden Age dell’arte e della cultura americana» di Trump.
Il cast del musical vincitore di Tony, Grammy e Pulitzer era originariamente parte dell’evento, ma il suo autore Lin Manuel Miranda ha ritirato la partecipazione sostenendo che «quest’ultima azione di Trump significa che il Kennedy Center non è più come lo conoscevamo… Non è stato creato in questo spirito e non saremo una parte di esso mentre è il Trump Kennedy Center». A seguito di questo gesto numerose organizzazioni artistiche si sono unite in una coalizione che condanna l’eccessivo controllo trumpiano sulle iniziative culturali.

Pur nella carenza di un’opposizione politica (o nell’attesa che i democratici ritrovino una strada percorribile) gli americani dimostrano che la democrazia non è morta esprimendo il loro dissenso nelle strade e nelle piazze. Le manifestazioni continuano nonostante la scarsa copertura che i media riservano loro, sia perché simpatizzanti repubblicani, sia per timore di ritorsioni politiche del loro stesso presidente. Un ulteriore motivo per cercare di difendere la democrazia americana.