Un’impresa ai confini della realtà. La «Grande Corsa della misericordia» del 1925 vede protagonisti dei cani da slitta che, tra i venti ghiacciati dell’Alaska, hanno salvato la cittadina di Nome. Isolata dal mare ghiacciato e da incessanti bufere di neve era bloccata nella morsa della difterite, all’epoca soprannominata «angelo strangolatore».
La resistenza di una comunità circondata dai ghiacci
Nome, la più grande comunità dell’Alaska occidentale, un secolo fa contava circa 1.400 abitanti. Quando la difterite inizia a diffondersi, i primi a perirne sono i bambini. La malattia, che si trasmette per via aerea, provoca la formazione di una pellicola spessa che ostruisce la parte posteriore della gola. L’antitossina utilizzata per curarla è stata scoperta nel 1890 mentre il vaccino nel 1923. L’ultima nave cargo era arrivata a Nome prima del congelamento del Mare di Bering, senza dosi di antitossina. Quelle che aveva il medico locale, Curtis Welch, erano obsolete. Non aveva mai visto un caso di difterite nei 18 anni trascorsi lì.
Poi la svolta nel giro di pochi mesi. In un telegramma, Welch chiede al Servizio Sanitario Pubblico degli Stati Uniti di spedire delle dosi di vaccino: «Un’epidemia di difterite è quasi inevitabile qui». Il primo decesso è un bambino di 3 anni il 20 gennaio 1925, seguito il giorno successivo da una bambina di 7 anni. Alla fine del mese si contavano più di 20 casi confermati. Scatta la quarantena per la città. Gli ospedali della costa occidentale avevano dosi di antitossina, ma ci sarebbe voluto troppo per farle arrivare prima a Seattle e poi su una nave per Seward, un porto libero dai ghiacci a sud di Anchorage. Nel frattempo, in un ospedale di Anchorage si era trovata una quantità sufficiente per 30 persone.
La corsa per salvare vite
In assenza di strade o treni che portassero a Nome, il siero viaggia su rotaie a Nenana, nell’ entroterra dell’Alaska, attraverso il fiume Yukon ghiacciato e i sentieri tramite cui viaggiava la posta. Grazie alle nuove linee telegrafiche dell’Alaska e alla diffusione della radio, il Paese segue affascinato la spedizione di 20 mushers – i conducenti delle slitte, molti dei quali nativi dell’Alaska – con più di 150 cani verso Nome. Hanno lottato contro la neve fitta, le tempeste talmente forti da oscurargli la visuale, e le temperature mortali che a volte scendevano a meno 60 gradi Fahrenheit (meno 51 gradi Celsius). Fiale di vetro coperte da trapunte imbottite contenevano l’antitossina in viaggio. Tutte sono arrivate a destinazione intatte.
La storia di Togo, il «vero» eroe a quattro zampe
Un nome importante in questa vicenda è quello di Leonhard Seppala, un colono norvegese, che parte da Nome per raggiungere il punto di rifornimento a metà strada e dal quale sarebbe ripartito. La sua squadra, in cui primeggiava il cane Togo, ha percorso più di 320 chilometri sulla tratta della staffetta, compreso un tratto insidioso attraverso il Norton Sound ghiacciato. Il 2 febbraio 1925, dopo circa 5 giorni e mezzo, il siero giunge a destinazione. La prima pagina del San Francisco Chronicle annuncia: «I cani vincono la bufera di neve nella battaglia per salvare Nome». Il registro ufficiale riportava cinque morti e 29 malati, senza contare i nativi dell’Alaska.
Seppala e Togo non hanno avuto il riconoscimento riservato invece al musher Gunnar Kaasen, che ha guidato la squadra di cani capitanata da Balto fino a Nome. Balto era un altro dei cani di Seppala, ma veniva utilizzato solo per il trasporto di merci in quanto ritenuto troppo lento per far parte di una squadra competitiva. Oltre ad aver ottenuto statue al Central Park di New York e una ad Anchorage come tributo a tutti i cani da slitta, Balto ha anche avuto un sèguito sul grande schermo. Nel 2019, il regista Ericson Core porta al cinema la storia di Togo e Seppala in Togo – Una grande amicizia, con un Willem Defoe straordinario nei panni del protagonista, il noto musher. Il film, dà importanza al ruolo fondamentale che Togo ha avuto nella vicenda, senza comunque sminuire il percorso di Balto.
La ricorrenza
Oggi, l’evento di mushing più famoso al mondo è l’Iditarod Trail Sled Dog Race, un percorso che va da Seward a Nome. «Gli organizzatori dell’Iditarod stanno celebrando il centenario della corsa del siero tramite articoli sul web e la vendita di repliche dei medaglioni che ogni musher della corsa ha ricevuto un secolo fa», dichiara il portavoce della gara Shannon Noonan. Tra gli eventi organizzati dal Nome Kennel Club per celebrare il centenario della «Grande corsa della misericordia» del 1925 ci sono conferenze, donazioni di cibo per cani e una riedizione della tappa finale della staffetta.
Anche altre comunità celebrano l’anniversario, tra cui il villaggio di Nenana, dove la staffetta ebbe inizio, e Cleveland, nell’Ohio. Jonathan Hayes, cittadino originario del Maine che ha lavorato per preservare la linea genetica dei cani da slitta di Seppala, sta ripercorrendo lo storico itinerario. Hayes è partito lunedì da Nenana con 16 cani da slitta siberiani, discendenti ufficiali della squadra di Seppala.
Un recente (e debole) eco della difterite
Pur essendo considerata oggi una malattia rara, la difterite torna a far parlare di sé. La notizia della morte di un bambino di 10 anni in Germania, dopo quattro mesi di lotta contro la malattia, ha fatto eco in tutto il mondo. La madre del bambino era risultata positiva ma senza sintomatologia grave, mentre il figlio era stato trasferito in una struttura sanitaria di Berlino e sottoposto a intubazione. Secondo i dati del Robert Koch Institut, nel 2023 sono stati 136 i casi di difterite in Germania; mentre nel 2024 sono scesi a 37, due dei quali nella capitale.