A contribuire alla liberazione di Cecilia Sala, la giornalista del Foglio e di Chora media rimasta prigioniera in Iran per 21 giorni, sarebbe stata non solo la diplomazia italiana, ma anche quella qatariota e il Presidente eletto Donald Trump, che da fine gennaio diventerà ufficialmente il leader degli Stati Uniti. Fin dai primi giorni l’arresto di Sala è stato collegato a quello dell’ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabani. Arrestato a Malpensa il 16 dicembre e detenuto in attesa dell’estradizione negli Stati Uniti, dove è accusato di associazione a delinquere, violazione delle leggi sulle armi e terrorismo.
Lo scambio con il prigioniero iraniano
Il legame tra i due è apparso evidente quando, il 2 gennaio, l’ambasciatore dell’Iran Mohammad Reza Sabouri ha detto con un post sui social dell’ambasciata che le condizioni in cui era detenuta Sala in Iran erano legate a quelle in Italia di Mohammed Abedini Najafabadi. In 48 ore è arrivata la smentita da Teheran. L’arresto di Sala “non è una ritorsione” per l’arresto di Abedini. A dirlo è la portavoce del governo iraniano Fatemeh Mohajerani. I sospetti su un possibile legame tuttavia non sono mai scomparsi.
Ora l’attesa è per il 15 gennaio quando i giudici della corte d’appello di Milano si riuniranno per decidere se concedere gli arresti domiciliari ad Abedini. Se dovessero negarli potrebbe intervenire il ministro della Giustizia, revocando l’arresto. Intanto, poche ore prima del rientro a casa di Sala, il ministro della Difesa Carlo Nordio si è recato a Palazzo Chigi. Si ipotizza per discutere dell’eventuale rilascio dell’iraniano.
Ma il ministero, in una nota, ha smentito la notizia. La data cruciale per un’eventuale liberazione di Abedini è il 20 gennaio. È proprio in questo giorno che l’amministrazione Biden lascerà il posto a quella di Donald Trump.
L’intervento di Trump
Dopo le ipotesi di un possibile scambio di prigionieri con Abedini, la reazione del governo degli Stati Uniti è rimasta ferma nel richiederne l’estradizione. Tuttavia è possibile che ad accelerare il rilascio della giornalista abbia contribuito l’incontro tra Donald Trump e la Presidente del Consiglio avvenuto lo scorso 4 gennaio. Quando Giorgia Meloni ha visitato per poche ore la residenza privata a Mar-a-Lago del Presidente eletto.
Durante l’incontro i due hanno parlato della detenzione di Cecilia Sala. Una volta rientrata in Italia Meloni ha mostrato un moderato ottimismo non solo verso il lavoro di mediazione in corso presso i ministeri di Giustizia e degli Esteri, ma anche nell’interlocuzione con gli Stati Uniti e nell’adozione di una linea non radicale da parte di Washington.
Visti i legami tra l’arresto di Abedini, richiesto dagli americani, e la detenzione di Sala è possibile che la premier abbia ottenuto da Trump garanzie sulla richiesta di estradizione e sull’eventuale rilascio dell’iraniano.
Il ruolo del Qatar e la mediazione dell’Italia
Nella liberazione di Cecilia Sala avrebbe avuto un ruolo anche il Qatar. Il suo coinvolgimento sarebbe iniziato nei primi giorni di gennaio quando l’Aise, i servizi segreti esterni italiani, ha iniziato a dialogare con l’intelligence iraniana. In questo contesto l’intelligence del Qatar avrebbe sarebbe intervenuta rafforzato le garanzie presentate dall’Italia nel non estradare Abedini. Il Qatar ha buoni rapporti sia con l’Iran che con gli Stati Uniti. E da tempo svolge un importante ruolo di mediazione in medioriente e nei negoziati tra Israele e Hamas.
Ma nella vicenda sarebbe pesata anche la prospettiva di una prossima presidenza Trump poco aperta verso la Repubblica islamica. In questo contesto la diplomazia italiana potrebbe diventare un canale di dialogo tra i due, grazie anche ai buoni rapporti tra Giorgia Meloni e il Presidente eletto.
A cura di
Chiara Brunello