«Emilia, figlia dell’ingegner Aldo Levi di Milano, che era una bambina curiosa, ambiziosa, allegra e intelligente; alla quale, durante il viaggio nel vagone gremito, il padre e la madre erano riusciti a fare il bagno in un mastello di zinco, in acqua tiepida che il degenere macchinista tedesco aveva acconsentito a spillare dalla locomotiva che ci trascinava tutti alla morte». Questo è il ricordo che Primo Levi dedica nel primo capitolo di Se questo è un uomo, a una delle tante famiglie sterminate nell’Olocausto e dimenticate dalle storia.
Almeno fino a quando qualcuno, in questo caso un’amica di famiglia, non ha deciso di restituire quei nomi (padre, madre e due figli, Emilia e Italo) alla memoria della loro città, Milano, attraverso delle “pietre d’inciampo”. I quattro, deportati ad Auschwitz nel febbraio del 1944, sono infatti tra le 27 nuove pietre che saranno posate nel 2025. La collocazione dei sanpietrini avverrà in due date, il 24 gennaio e il 16 marzo.
«Sono fra le famiglie più citate nella letteratura italiana – racconta Alessandra Minerbi, Presidente del Comitato per le “Pietre d’Inciampo” a Milano – ma si sapeva pochissimo di loro». Un paziente lavoro di ricerca ha permesso di ricostruirne la travagliata vicenda. Arrestati mentre tentavano di scappare in Svizzera, i quattro erano stati internati prima nel carcere di Como, poi in quello di Fossoli, fino a salire sul convoglio che li avrebbe portati ad Auschwitz.
Da dove provengono le richieste
La posa delle pietre in memoria della famiglia Levi nasce dall’intenzione di un’amica di famiglia, che ricordava di aver giocato da bambina con il piccolo Italo. In generale, le richieste per le pietre arrivano attraverso più canali. Possono essere espresse da parenti ancora in vita oppure da associazioni che si occupano della memoria delle vittime del nazifascismo. Ma esistono anche casi più particolari. Per il 2025 è arrivata anche una richiesta da una cooperativa operaia. Facendo dei lavori in cortile, gli associati hanno scoperto una lapide e ricostruito la storia di un iscritto poi deportato.
Il valore aggiunto del progetto
Il significato profondo delle pietre d’inciampo ruota attorno alla possibilità di legare le storie dei singoli alla grande Storia. Ne è un esempio la vicenda di Bice Venturi, altra dedicataria di una pietra che sarà posata nel 2025. La donna fu raggiunta e arrestata per aver prestato la propria tessera annonaria a un’altra donna, incinta e affamata. Il suo atto di generosità le costò la vita. Ricerche successive hanno poi dimostrato che la signora era già sotto sorveglianza in quanto moglie di un antifascista al confino.
Le pietre, spiega ancora Minerbi, «vengono posate di fronte all’ultima abitazione liberamente scelta dal deportato o dalla deportata» o, più raramente, presso il luogo di lavoro. Il senso è sempre quello del “monumento diffuso“: un modo per far rivivere la memoria delle vittime per le strade delle città. Un dovere, quello del ricordo, che diventa sempre più urgente. Non solo per i recenti episodi di antisemitismo, ma anche perché i sopravvissuti dell’epoca sono sempre meno. A ottant’anni dalla liberazione di Auschwitz riecheggiano le parole di George Santayana, incise all’ingresso del campo di Dachau: «Coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo».
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