Il 29 novembre le forze ribelli jihadiste siriane supportate dalla Turchia hanno conquistato ampie zone di Aleppo, riaccendendo i timori per una nuova recrudescenza della più che decennale guerra civile in Siria. Un’offensiva che rappresenta la sfida più seria al regime del presidente Bashar al-Assad in un momento in cui il conflitto sembrava essersi congelato.
I ribelli, Hayat Tahrir al-Sham e la Turchia
Le milizie hanno preso il controllo di più di metà di Aleppo in poche ore, non incontrando la resistenza delle forze governative. Decine di migliaia di civili sono in fuga e si contano almeno 300 morti (considerando entrambi gli schieramenti). L’offensiva potrebbe continuare verso sud, in particolare verso la città di Hama.
Le forze ribelli si sono riunite sotto l’ombrello dell’organizzazione Hayat Tahrir al-Sham (HTS), traducibile come “Commissione per la liberazione della Siria”.
Si tratta di un’organizzazione jihadista-salafita, una corrente dell’islamismo radicale sunnita, classificata come gruppo terroristico dalle Nazioni Unite e dall’Unione Europea. Nata dalle ceneri di Jabat al-Nusra, organizzazione affiliata ad al-Qaeda, Hts è il principale gruppo di opposizione al governo di Al Assad. Prima del lancio dell’offensiva di fine novembre, i jihadisti controllavano alcune zone della provincia di Idlib con un numero stimato di circa 10mila soldati.
L’ombrello di Hts, però, raggruppa una coalizione variegata di gruppi sunniti radicali e di jihadisti caucasici anti-russi. Il gruppo è comandato da Abu Muhammad Jolani, fondatore dell’ala affiliata ad al-Qaeda in Siria ma poi distaccatosi per ottenere maggiore autonomia. Jolani ha 42 anni, è originario di Damasco ed è da molti definito come agente del potere del presidente turco Erdogan.
I jihadisti, infatti, sono stati anche in grado di ritagliarsi spazi rilevanti con attori internazionali. In primis, con la Turchia. Ankara, fin dallo scoppio della guerra civile nel 2011, sostiene le fazioni ribelli unite sotto la sigla Esercito nazionale siriano (Ens) che si oppongono al regime.
L’obiettivo dei ribelli resta quello di rovesciare il regime e controllare la Siria, dove la maggioranza della popolazione è sunnita. Punto di incontro con Erdogan e la sua Turchia di stampo islamista sunnita e non sciita come l’Iran e Hezbollah. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Sohr), sarebbe stata proprio la Turchia a supportare la recente offensiva.
Mosca e Teheran: tralasciare Damasco è logica
Le forze governative e gli alleati russi hanno risposto lanciando bombardamenti intensi sui territori controllati dai jihadisti, inclusi 23 raid sulla città di Idlib, quartier generale di Hts. Secondo fonti russe, inoltre, sarebbero stati arrestati più di 200 miliziani.
Una risposta debole, per ora, che aumenta i sospetti sul tempismo dell’offensiva ribelle. I jihadisti avrebbero sfruttato la debolezza dell’alleanza a supporto di Assad che fa perno su Iran e Russia, due attori impegnati su fronti diversi.
La Repubblica Islamica e Hezbollah sono stati fondamentali alleati del dittatore siriano negli ultimi anni. Ora, però, il conflitto con Israele ha indebolito il cosiddetto “Asse della Resistenza” e il supporto militare ed economico ha subito pesanti contraccolpi. A questo ci sono da aggiungere i bombardamenti dello Stato Ebraico in Siria che hanno indebolito infrastrutture fondamentali per il governo.
Allo stesso tempo, l’altro alleato fondamentale, la Russia, è ormai impegnato da più di mille giorni sul fronte ucraino. Nonostante ora Mosca prometta supporto entro 72 ore, tralasciare Damasco è stata una conseguenza più che logica.
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La guerra civile in Siria
La guerra scoppia nel marzo 2011, in seguito alle proteste democratiche scaturite in tutto il mondo arabo, le cosiddette Primavere Arabe. Il governo di Assad reprime con violenza le manifestazioni che, a loro volta, si inaspriscono rapidamente trascinando la Siria in uno dei conflitti più sanguinari del ventunesimo secolo.
Il teatro regionale viene però sfruttato da potenze internazionali. Russia e Iran emergono come sostenitori del governo mentre la Turchia, alcune potenze occidentali (tra cui USA e Francia) e diversi Stati arabi del Golfo sostengono l’opposizione.
A gettare la situazione ulteriormente nel caos ci pensa il terrorismo jihadista. Sono gli anni in cui l’ISIS e al-Qaeda proliferano e intervengono per perseguire i propri obiettivi. Anni in cui Russia e Stati Uniti intervengono per sopprimere la minaccia del Califfato. Supportati anche dai curdi siriani che, nella confusione generale, lottano per l’indipendenza e l’autogoverno.
Tredici anni di sangue e piombo. Costati più di 300mila civili, circa 7 milioni di sfollati interni e circa 6 milioni di rifugiati o richiedenti asilo all’estero.
I recenti sviluppi hanno dimostrato che la guerra civile in Siria è, però, tutt’altro che congelata. Le vulnerabilità e contraddizioni del governo di Assad sono sotto i riflettori dello palcoscenico internazionale. Le scene che arrivano da Aleppo ricordano i primi stadi della guerra civile. Ribelli che conquistano quartieri, città, distruggono simboli governativi.
L’ultima escalation c’era stata nel 2020, quando le forze siriane lanciarono un’offensiva massiccia sulle milizie che controllavano la regione di Idlib. Scontri che terminarono con un cessate il fuoco mediato da Russia e Turchia. Ma ora, la partita sembra essersi aperta di nuovo.