Non ha ottenuto il via libera il taglio del canone Rai, votato in commissione Bilancio al Senato. Dopo un rinvio di un giorno, è arrivata il 27 novembre, verso le dieci del mattino, la definitiva bocciatura all’emendamento proposto dalla Lega. La spaccatura segna un altro episodio di mancata convergenza tra le forze di governo e anima i gruppi all’opposizione.
Forza Italia schierata con l’opposizione
Senato, commissione Bilancio. È finita 12 a 10 la partita sul taglio del canone Rai che ha visto la maggioranza di governo giocare divisa tra la squadra del sì e quella del no. A sostenere l’emendamento al decreto fiscale c’era la Lega, che l’ha proposto, e Fratelli d’Italia. Si è schierata con l’opposizione, invece, Forza Italia, i cui due rappresentanti in commissione si sono rivelati decisivi per l’esito della votazione.
Il governo, che caldeggiava la proposta del Carroccio, sembra non aver apprezzato lo stop dei forzisti. Fonti da Palazzo Chigi ne hanno fatto trapelare l’irritazione: «Il Governo è fortemente impegnato nel sostegno a famiglie e imprese, operando sempre in un quadro di credibilità e serietà. L’inciampo della maggioranza sul tema del taglio del canone Rai non giova a nessuno».
Inciampo non percepito da Antonio Tajani, leader di Forza Italia, che ha spiegato così la posizione del suo gruppo. «L’abbiamo detto da prima, [il taglio del canone Rai, ndr] non era un emendamento del governo, era un emendamento presentato dalla Lega, quindi non c’è stata nessuna decisione del Cdm». Una separazione delle competenze che, secondo Tajani, legittima la diversità di vedute.
Il contenuto dell’emendamento
L’emendamento proposto dalla Lega avanzava l’ipotesi di portare il costo del canone Rai da 90 a 70 euro. Non sarebbe la prima volta, bensì la reiterazione di una misura già passata nel 2023 come una tantum, cioè non in modo permanente, ma solo per quell’anno. A destare l’opposizione di alcuni partiti, tuttavia, è il fatto che per colmare la differenza, stimata tra i 400 e i 480 milioni, si debba prelevare dalla fiscalità generale.
«Noi non abbiamo votato un emendamento che prevedeva il taglio del canone Rai di 20 euro perché lo consideravamo sbagliato e non utile ad abbassare la pressione fiscale», ha proseguito Tajani. Il vicepremier ha poi spiegato che, tagliando il canone, sarebbe necessario «trovare 430 milioni dal bilancio per finanziare la Rai». «Con quei soldi, invece, si possono tagliare veramente le tasse», ha concluso.
Lo “sgambetto” della Lega
Sul canone Rai, almeno per quest’anno, la vicenda termina così. Ma in commissione Bilancio al Senato sono circa 180 gli emendamenti da votare. Diventa facile, perciò, rendersi i torti a vicenda. Potrebbe essere il caso di quanto accaduto poco più tardi, quando un emendamento a prima firma Claudio Lotito (Forza Italia) sulla Regione Calabria, per il quale il governo si era rimesso alla commissione, ha ricevuto un bocciatura. Determinante in questo caso l’astensione della Lega, che ha determinato una seconda sconfitta di due dei tre partiti di maggioranza, questa volta con i forzisti al posto del Carroccio.
Le reazioni della politica
Non fa drammi Giorgia Meloni, che a margine dei Med Dialogues ha commentato: «Sono schermaglie, non ci vedo nulla di particolarmente serio». Minimizza anche il capogruppo di FdI alla Camera, Tommaso Foti: «È un tema, quello della riduzione del canone Rai, sul quale non vi era convergenza di tutta la maggioranza e, d’altra parte, non era ricompreso nel testo approvato in Consiglio dei Ministri».
Intanto l’opposizione esulta per quella che considera una spaccatura tra le forze al governo. «Sono allo sbando – commenta Elly Schlein, segretaria del Pd –, troppo impegnati a litigare tra loro, a competere, anziché governare il Paese. E intanto non si occupano della salute e dei salari, dei problemi concreti degli italiani». Le fa eco Giuseppe Conte: «Divisi in Europa, sulla politica estera e oggi anche in Parlamento, con la maggioranza che non ha i numeri in Commissione e va sotto: l’unità professata da Meloni è un altro film di fantascienza girato a Palazzo Chigi».
Unità o meno, la maggioranza ha la necessità di ritrovare al più presto un’intesa. Il 28 novembre, infatti, il Senato sarà chiamato a votare il decreto legge Fisco. Collegato alla manovra, il decreto toccherà temi delicati come le partite Iva, l’industria 4.0, i bonus nelle tredicesime e la cessione del quinto.