Tredici fenicotteri, tredici macchie rosa in mezzo al grigiore di Milano. Se ci si allontana dal parco Indro Montanelli e si prosegue, attraverso le vie storiche e i palazzi della vecchia nobiltà meneghina, si può finire in via Cappuccini.
Una strada tranquilla in un contesto di vie altrettanto placide: non per niente ci troviamo in quello che viene detto il quadrilatero del silenzio, in contrapposizione al vicino quadrilatero della moda. E al numero sette di via Cappuccini, più o meno a metà strada, noterete gruppi di turisti e curiosi sbirciare tra le siepi di una residenza privata: Villa Invernizzi.
Attraverso le inferriate, i cespugli e le fontanelle si vedrà la presenza di tredici corpi alieni: una colonia di fenicotteri nel centro di Milano. Villa Invernizzi apparteneva al famoso padre dei formaggini italiani, ribattezzato all’apice della carriera Cavalier Invernizzi. L’oasi dei fenicotteri nasce negli anni ’70. Per realizzarla, Romeo Invernizzi acquista e demolisce un palazzo adiacente alla villa.
Da dove arrivano i fenicotteri
I fenicotteri di Milano, come è chiaro, non sono autoctoni. Importati dall’Africa e dal Sudamerica quando le norme (e la morale collettiva) ancora lo permettevano, le “macchie rosa” di Milano, di generazione in generazione, hanno continuato a donare al giardino una sfumatura di rosa, trasformandosi nel piccolo e silenzioso stormo di oggi.
Uno stormo che non può volare. E che se anche potesse, non saprebbe dove andare. Essendo nati in cattività, i fenicotteri non sembrano avere la benché minima intenzione di andarsene. Un fenomeno indotto, perché alla prima generazione di questi splendidi esemplari furono rimosse le penne remiganti, quelle che servono agli uccelli per librarsi in aria e dare una direzione al volo. E i loro cuccioli, e i cuccioli dei loro cuccioli e così via non hanno mai vissuto l’ebrezza del volo. E non gli è mai stata insegnata una rotta verso l’Africa e ritorno dai genitori.
Ma anche se gli fosse stata insegnata una rotta da un immaginario fenicottero selvatico, nessuno di loro avrebbe potuto mai percorrerla. Il clipping, cioè il taglio delle penne remiganti, è praticato alla nascita su tutti gli esemplari, compresi i nuovi nati. I fenicotteri sono rimasti orfani del Cavalier Invernizzi nel 2004. Ma da quel momento la colonia, libera di riprodursi, è cresciuta a dismisura. Metà degli esemplari negli anni successivi sono stati distribuiti tra lo zoo di Lignano Sabbiadoro e l’altrettanto esotica ex tenuta di Moira Orfei, a San Donà di Piave.
Villa Invernizzi oggi
La villa oggi è sede di un circolo della stampa. Ma le volontà testamentarie dei coniugi Invernizzi tutelano espressamente la colonia. D’inverno gli esemplari godono dell’acqua riscaldata di un piccolo laghetto, oltre ad avere ripari ad hoc e un custode che li nutre regolarmente.
Romeo Invernizzi era affezionato alla sua campagna. Ma la moglie, Enrica Pessina, sognava una vita in città. Il compromesso che ne è scaturito sarebbe un progetto oggi irripetibile, perché dal 1980 il commercio di fenicotteri è vietato. Tutto grazie all’adesione dell’Italia alla Convenzione sul Commercio Internazionale delle Specie Minacciate di Estinzione (CITES), con lo scopo di tutelare fauna e flora in pericolo di sopravvivenza. Una brutta notizia per chi, leggendo, immaginava di creare il suo personale zoo di fenicotteri nel giardino di casa.
L’architettura di villa Invernizzi a Milano è un tipico esempio di stile liberty. Oltre ai fenicotteri possiede un giardino pensile, un roseto e uno splendido angolo per le magnolie. Qui vivono i fenicotteri, esiliati in un mondo d’asfalto, versi di una poesia intrappolata nelle pagine grigie del cemento milanese. Continuano a esistere, più che a vivere, sospesi tra un passato rubato e un presente senza ali. Fiori esotici nel giardino della modernità, che ci ricordano come nel cuore del caos urbano possa ancora sbocciare la vita. Sgargiante, sfrontata ed esotica, che sa ancora colorare di nostalgia l’affannoso presente milanese.