Se vi capitasse di passare un sabato mattina di marzo per il Campus universitario di Bovisa, nel nord di Milano, potreste essere sommersi da una nube di fumo. Avvicinandovi un po’ di più, incuriositi, sareste bloccati da un ragazzo: «Non oltre questa linea, stiamo facendo dei test pericolosi». Poggereste allora il vostro zaino a terra, rimanendo in piedi accanto al ragazzo. Finché, di botto, una sorta di fischio soffocato sorprenderebbe le vostre orecchie. Come se un sospiro tenuto “imbarattolato” per qualche anno avesse finalmente trovato il foro sul tappo per uscire e si affrettasse tutto insieme senza ordine a raggiungerlo. Poi vedreste di nuovo il fumo bianco, lo stesso di una decina di minuti prima. Una nuvola strana, gelida al punto da congelare erba, foglie e panchine del Politecnico di Milano. E che esce da un piccolo tubo argentato. «Di cosa si tratta?», chiedereste. «È un cold flow test».
I guardiani del cielo
Una trentina di ragazzi, tutti con la stessa divisa. Maglietta (o felpa per i più freddolosi) rigorosamente blu con un simbolo sul cuore. Uno stemmino strano, fatto di frecce e curve che si incastrano quasi in maniera futuristica. Sulla schiena una scritta a caratteri cubitali: Skyward Experimental Rocketry. Fanno razzi al Politecnico? Sì, razzi. E per di più una tipologia particolare: quelli da competizione.
Sono circa 140 studenti, organizzati a piramide per dipartimenti. Ogni dipartimento con i sui membri, i suoi IPTL (Internal Project Team Leaders) e con il suo Head of Department. E sopra di questi il Project Manager, il vice-presidente e il presidente. Una cosa ‘da grandi’ fatta da giovani. Il tutto autogestito, senza il minimo interessamento diretto da parte di docenti di ogni sorta. Dai contatti con gli sponsor (unica fonte di finanziamento dell’associazione) ai rapporti con vari professori o esperti: tutto è nelle loro mani. Ingegneri aerospaziali, meccanici, elettronici, gestionali e chi più ne ha più ne metta. Ognuno con la sua storia, le sue abilità, il suo desiderio di mettere in pratica tutta la teoria che ha assorbito astrattamente. Una piccola Nasa? Forse no (se lo si chiede a loro, il no è sicuro). L’entusiasmo però non è tanto diverso.