Di Leonardo sappiamo molto più di quello che probabilmente avremmo dovremmo sapere. Il filmato che mostra la Polizia mentre, il 10 ottobre scorso, lo trascina via a forza dalla sua scuola, ha destato non poco sdegno. La storia del bambino di 10 anni di Cittadella (Padova), figlio di genitori separati che hanno lottato uno contro l’altro per ottenerne l’affidamento, è tornata sotto i riflettori il 20 marzo quando la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la decisione della Corte d’appello di Venezia che aveva precedentemente tolto alla madre la patria potestà nei confronti del figlio e lo aveva affidato a una casa famiglia. Le immagini dell’esecuzione forzata della sentenza del tribunale da parte della polizia erano state riprese dalla zia, la sorella della madre di Leonardo, che poi le aveva diffuse facendole diventare di dominio pubblico : il video straziante è stato mostrato dalla trasmissione “Chi l’ha visto” ed è poi finito anche sul web. Presa coscienza dell’accaduto, l’ex capo della polizia Manganelli aveva chiesto scusa per i metodi con cui le forze dell’ordine avevano eseguito l’ordinanza. L’indignazione per i fatti certamente gravi accaduti, non solo ha riportato alle cronache il dibattito sulla sofferenza dei figli contesi dai genitori, ha però anche sollevato polemiche sulla scelta della tv pubblica di mandare in onda delle scene così forti relative ad un minore e scatenato accuse di sensazionalismo nei confronti dei media.
Secondo il codice di autoregolamentazione che i giornalisti si sono dati, e in particolar modo secondo i principi contenuti nella Carta di Treviso relativa proprio alla tutela dei minori e al trattamento delle notizie a loro relative, probabilmente le immagini non avrebbero dovuto essere trasmesse. Nel documento del 1990, aggiornato poi nel 2006 si legge infatti: “Che nessun bambino dovrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie o illegali nella sua privacy, […] che le disposizioni che tutelano la riservatezza dei minori si fondano sul presupposto che la rappresentazione dei loro fatti di vita possa arrecare danno alla loro personalità”. In un altro passo si legge poi: “Il fondamentale diritto all’informazione può trovare dei limiti quando venga in conflitto con i diritti dei soggetti bisognosi di una tutela privilegiata. Pertanto, fermo restando il diritto di cronaca in ordine ai fatti e alle responsabilità, va ricercato un equilibrio con il diritto del minore ad una specifica e superiore tutela della sua integrità psico-fisica, affettiva e di vita di relazione”. Il punto 4 tratta poi proprio del caso specifico di affidamenti e adozioni, specificando che anche in questi casi “occorre tutelare l’anonimato del minore per non incidere sull’armonico sviluppo della sua personalità, evitando sensazionalismo e qualsiasi forma di speculazione”.
Alla luce di questo codice, il caso di Leonardo poteva essere trattato diversamente? È stato oltrepassato il confine tra diritto di cronaca e tutela del minore? Secondo il giornalista Gian Antonio Stella, che si è occupato spesso del tema dei bambini e dell’affidamento, no. “Non ci sono regole che siano dogmatiche e immutabili. – dice Stella – Mi rendo conto perfettamente che il bambino è stato esposto ad un certo tipo di pubblicità, ma in questo caso era talmente importante mostrare le immagini che è stato giusto così anche se si è andata a toccare la privacy di Leonardo. Mai come in questo si è visto come sia molto complicato trovare la misura giusta”.
La storia di Leonardo è stata ricostruita e analizzata su “Repubblica” dal giornalista Carlo Verdelli, che nell’articolo ha avuto il riguardo di sorvolare sul nome del bambino e chiamarlo “X”. Come ammesso però dallo stesso Verdelli, nonostante del bambino non sia stato mai reso noto il cognome, Cittadella è una comunità “relativamente piccola in cui tutti sanno di cosa e di quale vicenda stiamo parlando”. Secondo il giornalista, il mancato rispetto della Carta di Treviso è indubbiamente in secondo piano rispetto alla gravità di quanto è successo, soffermandosi sulla sofferenza dei bambini contesi soprattutto quando, come in questo caso, diventano terreno di scontro tra due genitori che finito l’amore si odiano attraverso i figli. Dalla ricostruzione di Verdelli emerge poi un punto cruciale della vicenda: il ruolo svolto dalla zia e dalla madre. Il bambino, che secondo le testimonianze era molto tranquillo all’arrivo dei poliziotti all’interno della scuola, si è agitato appena usciti all’esterno. “Nella classe dove i poliziotti sono entrati – dice Verdelli -il bambino usciva tranquillamente. In strada si è trovato la famiglia della madre che lo tirava e lui in qualche modo non sapendo più come comportarsi, e anche per non fare brutta figura nei confronti della famiglia della madre è andato in escandescenze e ha cominciato a invocare l’aiuto della nonna e della mamma” (ascolta un estratto dell’intervista).
Una scena quindi che ha destato molti sospetti, facendo pensare anche che fosse stata architettata precedentemente dalla madre e dalla zia che avrebbero “istruito” il bambino su come comportarsi e si sarebbero preparate alle riprese della scena proprio per far apparire il padre, che aveva lottato per riavere Leonardo, come il mostro della situazione. Quest’ultima ipotesi è sostenuta con convinzione dal Dott. Rubens De Nicola, lo psichiatra nominato Ctu (consulente tecnico d’ufficio) dalla Corte d’Appello di Venezia e che aveva diagnosticato sul bambino la tanto discussa Pas (sindrome da alienazione parentale) provocata dal distacco dal padre a cui la madre aveva costretto Leonardo. Secondo De Nicola il mancato rispetto della Carta di Treviso e la pubblicazione delle immagini avrebbe provocato ulteriori danni psicologici al bambino. Danni provocati non solo dall’esposizione mediatica dei suoi fatti, ma soprattutto dalle conseguenze che essa ha comportato: secondo lo psichiatra infatti la trattazione della storia di Leonardo in trasmissioni televisive private di carattere non giornalistico, schierate a favore della madre, avrebbe condizionato il giudizio della Corte di Cassazione che con l’annullamento con rinvio della decisione della Corte d’appello di Venezia ha praticamente restituito il bambino alla madre. Decisione che avrà, secondo De Nicola, effetti psicologici devastanti su Leonardo che aveva appena riallacciato i rapporti con suo padre e che d’ora in avanti non potrà più vederlo. Una decisiva influenza mediatica quindi che secondo De Nicola doveva essere evitata (ascolta un estratto dell’intervista).
Ma quanta responsabilità si può dare a chi ha pubblicato il video di Leonardo? Le immagini della polizia che lo porta via non sono state realizzate da un giornalista, ma sono state girate dalla zia fuori dalla scuola e poi diffuse proprio dalla madre del bambino. È stata quindi lei per prima a non preoccuparsi di difendere la privacy di suo figlio e a strumentalizzarlo per far passare un’immagine negativa dei poliziotti e del padre. La tv pubblica ha poi scelto di mandarlo in onda, nonostante fossero immagini molto forti, pixelando il volto del bambino, cosa che non è sicuramente bastata a garantirne l’anonimato. In questo modo però i giornalisti non si sono messi in condizione di diventare tramite di una strumentalizzazione? Carlo Verdelli non è d’accordo con questa interpretazione: “Io sono della scuola che l’informazione deve informare, non deve preoccuparsi di questo. Lì oltre ad un sacco di persone presenti c’ è dietro un caso grosso, non succedono spesso in Italia cose di questo tipo. Proteggendo il bambino – continua Verdelli – c’era anche il problema di testimoniare il comportamento inadeguato delle forze dell’ordine. Dovevano fare questo o non dovevano fare questo? Quindi secondo me per far emergere il problema del rispetto dell’identità del bambino e della sua privatezza il compito dell’informazione non è quello di nasconderne certi fatti, è invece proprio quello di affrontarli”. La visione di De Nicola a riguardo è invece opposta: “Io credo – dice lo psichiatra – che il giornalista, come ogni professionista, dovrebbe andare oltre gli interessi di parte e porsi a tutela esclusiva e totale del bambino . Si può anche comprendere per certi aspetti che la parte interessata (la madre) possa sul piano emotivo non riuscire a distinguere cosa sia a tutela o meno del bambino. Ma credo che non sia lecito che un professionista non mantenga il controllo”.
Anche Selene Pascasi, giornalista pubblicista e avvocato socio fondatore della Camera minorile distrettuale d’Abruzzo ha trattato la storia di Leonardo dal punto di vista dell’etica giornalistica (leggi l’articolo). Secondo Pascasi nel caso del bambino di Cittadella c’è un evidente conflitto tra le immagini che sono state pubblicate e il codice di autoregolamentazione che si sono dati i giornalisti. “Come avvocato mi associo alla posizione dell’Associazione matrimonialisti italiani che ha predisposto un esposto per verificare nel caso le responsabilità di magistrati e delle forze dell’ordine proprio per come è stata eseguita l’ordinanza del tribunale, ma come giornalista ritengo che siano stati forniti troppi dati. La scuola è stata filmata, la città ormai si conosce come si sa molto bene chi sono i genitori del bambino, tutte informazioni che permettono facilmente di risalire a Leonardo”(ascolta un estratto dell’intervista).
Nella gravità della vicenda e nell’enorme sofferenza provocata al bambino, Carlo Verdelli trova invece proprio nella pubblicazione delle immagini un lato positivo: “So per certo che il fatto che l’episodio sia diventato pubblico ha fatto sì che si aprissero dai tavoli per cui il garante dell’infanzia insieme alle forze dell’ordine ha organizzato degli incontri e dei corsi, per istruire quegli agenti delle forze dell’ordine, della polizia e dei carabinieri che d’ora in avanti saranno incaricati di eseguire le ordinanze dei tribunale”.
Il caso di Leonardo è solo uno dei tanti ma la gravità delle immagini che si è scelto di pubblicare lo ha fatto diventare emblema di una condizione in cui vivono tanti bambini contesi dai genitori e di cui spesso non siamo neanche a conoscenza. Scegliere di trattare queste storie così delicate dovrebbe però avere come obiettivo, oltre a quello di informare, solo quello di sensibilizzare sul tema e certamente non quello di spettacolarizzarlo solo per audience come è stato permesso che accadesse in alcune trasmissioni televisive che hanno trasformato l’informazione in talk show. di Eliana Biancucci