La privacy “è nient’altro che il diritto di essere lasciati soli”: sono queste le parole scelte da Edward Snowden come conclusione del suo attesissimo intervento al Festival del giornalismo di Perugia. Chiusura seguita da una vera e propria standing ovation, di quelle riservate ai divi del rock, da parte del numerosissimo pubblico di giornalisti e non che ha riempito ogni spazio libero della sala dei Notari (molti sono anche rimasti fuori), mentre il whistleblower salutava e chiudeva il collegamento Skype da Mosca. L’ex tecnico della Nsa (National security agency, uno dei servizi di sicurezza statunitensi) infatti non può muoversi dalla Russia, dove ha ottenuto asilo politico in seguito alle sue rivelazioni del 2013 sui programmi di spionaggio massivo delle comunicazioni informatiche messi in atto dai servizi segreti di Stati Uniti e Gran Bretagna.
La fila per entrare all’evento con Edward SnowdenPolo nera, sguardo determinato e parole decise, Snowden non ha deluso le attese degli ascoltatori, prima annunciando che presto pubblicherà nuovi documenti e poi esponendo il suo punto di vista sulle scottanti questioni della privacy, della sorveglianza di internet da parte dei governi e del rapporto tra essa e la sicurezza dei cittadini: tutti temi che lui stesso, assieme a Glenn Greenwald e agli altri giornalisti del Guardian e alla regista Laura Poitras (intervenuta anche lei in collegamento Skype) ha contribuito in modo decisivo a portare all’attenzione generale.
“Non siamo al sicuro se non siamo liberi”
Rispondendo alle domande del moderatore Fabio Chiusi, intervenuto assieme all’avvocato di Snowden Ben Wizner e ad Andrea Menapace, presidente della Cild (Coalizione italiana libertà e diritti civili, associazione che ha contribuito a organizzare l’evento), l’ex dipendente dello spionaggio statunitense ha esordito affermando che “i politici credono che per fermare la minaccia terroristica sia più sicuro incrementare la sorveglianza di massa. Ma non è così, ci sono studi che lo dimostrano. Non importa se siamo perfettamente al sicuro se non siamo liberi. Certe cose non si possono impedire. L’anno scorso in Francia è stato approvato il programma per la sorveglianza di massa, ma non è stato sufficiente per evitare l’attacco a Charlie Hebdo”. Per questo, anche le nuove leggi che sono in discussione proprio in Francia, e di recente – dopo i fatti del tribunale di Milano – in Italia, non servono a garantire maggiore sicurezza, l’unica certezza è che porteranno a un’ancora maggiore invasione della sfera privata delle persone. “Anche se non siete un criminale, c’è la possibilità che un analista stia vedendo le vostre mail e vi stia studiando, e ciò è terribile”. “Se tu – ha aggiunto poi il whisleblower rivolgendosi ai presenti in sala – sei seduto in questa stanza con un cellulare devi sapere che il tuo governo sa dove sei, e grazie ai sistemi di sorveglianza ha tutte le informazioni per giudicarti completamente”.
Democrazie e dittature, tutti spiano allo stesso modo
Un altro aspetto inquietante, ha proseguito Snowden, è che le pratiche di spionaggio da lui denunciate sono state “normalizzate”, accettate come prassi inevitabile: i dipendenti della Nsa usavano programmi di spionaggio per sorvegliare le loro mogli e verificare che non li tradissero, e nessuno di loro è finito in tribunale per rispondere di questi abusi del sistema”.
“I governi – secondo il whistleblower – hanno su di noi ogni tipo di informazione. Non sappiamo se le usano e come, però sappiamo che potrebbero”. E i sistemi di spionaggio creati dalle democrazie occidentali con il pretesto della sicurezza hanno finito per diventare un alibi per la sorveglianza esercitata dai regimi autoritari: lo spionaggio degli uni è identico a quello degli altri, anzi, “anche nei paesi più liberi oggi non ci sono limiti allo spionaggio. La differenza con gli altri paesi è come questi sistemi sono applicati per colpire i nemici del sistema o i personaggi scomodi”. La tendenza è quindi comune: “con il controllo dei dati stanno creando il più grande sistema di oppressione della storia”.
Poco dibattito, specialmente in Italia
Ma di tutto questo i cittadini sono poco informati, a giudizio di Menapace: “internet è uno spazio fondamentale per la nostra libertà, ed è necessario difenderlo dagli attacchi governativi. In Italia si parla poco di privacy e sorveglianza di massa. Bisogna mettere in discussione il governo per avere una risposta. E per farlo dobbiamo informare i cittadini in modo adeguato. Invece nel nostro Paese spesso anche i giornalisti non fanno bene il loro lavoro”: che è anche quello di costringere i governi a rendere conto del loro operato, come avvenuto in Usa e Gran Bretagna proprio a seguito delle rivelazioni di Snowden. Il quale prima conferma che “la relazione spionaggio USA-Italia è forte e il primo ministro italiano non sa perché non vuole sapere”, e poi rilancia: “i governi migliori sono quelli che temono il giudizio dei cittadini”.
Come fare dunque a rendere tutti i governi più responsabili nei confronti dei cittadini? Per conseguire quest’obiettivo, dice Snowden, “non dobbiamo permettere che la nostra sfera personale venga invasa. È un nostro diritto. Le persone non possono continuare a comunicare in modo sicuro con la cosante preoccupazione che qualcuno le spii, e nessuno è al riparo da azioni del genere”.
Non violenza, ma presa di coscienza
Il quadro disegnato dall’ex informatico della Nsa è a tinte fosche, e pone dei seri interrogativi sul modo in cui uscire da questo cul de sac. “La vera domanda – conclude Snowden – è come aumentare i nostri livelli di libertà”, e la risposta deve arrivare da due strade: la prima è “la trasparenza e il confronto a ogni livello. Il giornalismo è forse l’unica arma che abbiamo a disposizione: i governi non si riformeranno da soli, non rinunceranno al loro potere. L’unica arma è quindi competere con loro ed è quello che fanno i giornalisti quando li sfidano sul campo dell’interesse pubblico delle loro scelte”. La seconda invece è la diffusione di una consapevolezza più generale: “non serve una resistenza violenta, serve quella civica: passa da come votiamo, come ci presentiamo, di cosa parliamo. Non bisogna temere di essere etichettati e di raccontare davvero come vogliamo vivere. Serve un confronto sui diritti che abbiamo ereditato e che vogliamo passare a figli e nipoti. Sono queste le libertà che dobbiamo essere disposti a difendere. Gli unici che possono bloccare chi oltrepassa i confini e rimettere in discussione gli assegni in bianco siamo noi”.
Daniele Lettig 17 aprile 2015