Serie A cenerentola d’Europa. Tra strutture vecchie e riempite sempre meno, emergono dati sull’affluenza negli stadi che fotografano impietosamente la grigia situazione del calcio italiano rispetto ad altri campionati europei (Premier, Bundesliga e Liga). In Serie A 7 squadre su 20 hanno un load factor (percentuale di riempimento dello stadio) medio inferiore al 50%. Un dato significativo che dice già molto. Ma da cosa dipende questa mancanza di attrattività? I motivi sono molteplici, come racconta Giovanni Capuano, conduttore di Tutti Convocati su Radio 24 e firma di Panorama, che, di recente, ha scritto un articolo proprio sull’argomento. “È indubbio che il calcio italiano abbia perso appeal rispetto agli anni 90’ e 2000. In primis, bisogna tenere presente la vetustà degli impianti, che hanno in media oltre sessant’anni e sono scomodi. Non esiste un rapporto qualità-prezzo che sia accettabile, a parte rari casi come San Siro dove sono in vendita decine di migliaia di biglietti alla portata che offrono una fruibilità oltre la sufficienza”. Mancano i comfort, insomma, e tutti quei requisiti normativi e di sicurezza che la legge impone. L’incapacità di dotarsi di strutture all’avanguardia ci penalizza. In Italia solo tre squadre (Juventus, Udinese e Sassuolo) sono dotate di uno stadio di proprietà. Juventus Stadium di Torino (un gioiellino realizzato seguendo il modello degli stadi più belli del mondo), Dacia Arena di Udine e Mapei Stadium di Reggio Emilia non sono sufficienti. Basti pensare che in Premier League su 20 strutture solo 4 sono pubbliche e anche la Bundesliga vanta una maggioranza di stadi di proprietà (10 su 18). Per incrementare in maniera esponenziale il fatturato, in Italia è fondamentale invertire questa tendenza. Certamente a contribuire al rapido e inesorabile calo dell’affluenza è stata anche la concorrenza selvaggia e non regolamentata della televisione. In Inghilterra e Germania, infatti, il sistema è controllato. “Nella fascia oraria in cui si giocano la maggior parte delle partite in Premier, è impedita la trasmissione in diretta di partite sul territorio inglese”, fa notare Capuano. “Ciò stimola ovviamente a recarsi allo stadio. Anche in Germania, almeno fino a quest’anno perché poi dall’anno prossimo qualcosa cambierà, c’è comunque una fascia di protezione che impedisce che si giochi una partita della Bundesliga in orari che possono danneggiare il calcio dilettantesco o, comunque, inferiore rispetto alla Bundesliga. Questa è una forma di rispetto che spinge il pubblico ad andare al campo e non a considerare il calcio come un fenomeno televisivo”. In Italia tutto ciò non è avvenuto perché i diritti tv garantiscono oltre il 50% del fatturato di tutte le società e per alcune, che non possono raccogliere soldi dalla partecipazione alle Coppe, si arriva anche al 70-80%. “È evidente che i club hanno pensato semplicemente a massimizzare questi ricavi senza fare nessun tipo di ragionamento di sistema e questo, fra le varie cose, ha penalizzato anche la fruizione dello spettacolo di persona”.
Altro aspetto da sottolineare, benché meno incidente rispetto agli altri due, è il minor fascino esercitato dal nostro campionato rispetto al passato poiché tanti grandi calciatori preferiscono giocare altrove. “È vero che la Serie A riempiva gli stadi negli anni ‘70 e anche all’inizio degli anni ‘80 quando il campionato non era il migliore d’Europa ma questo si spiega facilmente. All’epoca recarsi allo stadio era l’unico modo di vedere il calcio e poi rappresentava un fenomeno di costume diffuso in maniera trasversale. Se una società si rende protagonista di un ciclo vincente è più facile che porti allo stadio tanta gente”. È il caso della Juventus che domina il campionato italiano e, secondo i dati raccolti da Transfermarkt, fino alla 33a giornata di questa stagione, può vantare un load factor medio pari a 96,2% che la posiziona al primo posto di questa classifica. Certo, è più facile gremire lo Juventus Stadium – che ha una capienza di 41.475 spettatori – rispetto al San Paolo di Napoli (60.240), all’Olimpico di Roma (73.261) o al Giuseppe Meazza di Milano (80.018) ma la bassa disponibilità non favorisce, comunque, l’indice di riempimento, come dimostrano i dati delle altre squadre di Serie A. Per esempio, Chievo e Palermo, i cui impianti possono contenere, rispettivamente, 31.045 e 36.349 spettatori – cifre non elevatissime – occupano la penultima (38.3%) e la terzultima posizione (38.4%) nella classifica riguardante il load factor. Fanalino di coda – ed è una sorpresa in negativo – la Lazio con il 25,5% di media riempitiva. Ciò significa che nelle gare casalinghe dei biancocelesti, tre quarti dell’Olimpico di Roma sono tristemente vuoti. Superiore rispetto ai rivali, ma insufficiente il dato riguardante la Roma che si attesta al 39,6%, occupando la quartultima posizione. Non brilla il Milan, quattordicesimo, con un media di poco inferiore al 50% (49,3%). Va un po’ meglio a Napoli (decimo con il 57,4%) e Inter (settima con il 58,6%) ma, a stupire, sono Atalanta, Pescara e Torino, con una media superiore al 65% e, soprattutto, Udinese (71,3%) e Cagliari (81,5%), che si piazzano alle spalle della Juventus.
Se, invece, consideriamo la media di spettatori, sempre secondo Transfermarkt, è l’Inter la società più seguita con una media di 46.863. Seguono Juventus (39.913), Milan (39.440), Napoli (34.549) e Roma (28.974). Il podio in negativo e in ordine decrescente, spetta a Chievo (11.882), Empoli (9.511) e Crotone (7.419). Per quanto concerne la squadra calabrese, occorre sottolineare che ha giocato tre partite nello stadio di Pescara in attesa della fine dei lavori allo stadio Scida e le presenze a quelle gare non sono considerate nel calcolo del load factor generale della serie A. Anche la media spettatori tiene conto del Crotone a partire dalla partita d’inaugurazione dello Scida, cioè dal match contro il Napoli della nona giornata del girone d’andata.
La situazione non cambia molto se prendiamo in considerazione i dati relativi allo scorso anno. Anche alla fine della stagione 2015-2016, Lazio (28,8%) e Chievo (36,1%) si trovavano in ultima e penultima posizione nella classifica riguardante il load factor. Terzultimo era il Carpi (42,9%). Identico a quello della stagione in corso il dato relativo alla Fiorentina (56,3%) e abbastanza in linea, tra gli altri, per Milan (47,3%), Inter (56,9%), Torino (69,3%) e Juventus (93,3%). L’anno scorso si piazzava meglio la Roma (48%) ma c’è da considerare che il peggioramento evidente di questa stagione è derivato dal fatto che i gruppi organizzati hanno deciso di disertare per protesta contro le barriere interne alle curve, rimosse solo recentemente (aspetto su cui riflettere anche per i dati riguardanti la Lazio che restano, però, troppo bassi). Inoltre, il popolo giallorosso ha la tendenza a riempire lo stadio in occasione dei big match e a snobbare le partite con le medio piccole. Tendenza che hanno anche i tifosi del Napoli, altra squadra che l’anno scorso raggiungeva risultati più soddisfacenti (64,3%).
Anche in merito alla media spettatori, non si registrano grandi sconvolgimenti. Nel 2015-2016 l’Inter si classificava prima con una media di 45.538. Un dato in linea con quello di quest’anno, stesso dicasi per Juventus e Milan, rispettivamente a 38.690 e 37.861 nel 2015-2016. Come per la classifica del load factor, anche la media spettatori di Napoli e Roma era superiore lo scorso anno (38.707 per la società partenopea e 35.182 per quella capitolina). Agli ultimi tre posti come media spettatori si classificavano Empoli (9.510), Carpi (9.040) e Frosinone (7.449).
Il quadro sconsolante viene evidenziato ancor di più se paragoniamo la Serie A agli altri principali campionati europei. Nella classifica relativa al load factor, il campionato italiano si posiziona al quinto e ultimo posto nella scorsa stagione (55,7%) come in quella corrente (56,5%). Lontane Ligue 1 (67,2% nel 2015-2016 e 64,8% quest’anno) e Liga (70,4% lo scorso anno e 73% oggi), addirittura irraggiungibili Bundesliga (93% nel 2015-2016 e 93,5% quest’anno) e Premier (93,3% lo scorso anno e 95% oggi)
Desolanti anche i risultati della classifica relativa al numero di spettatori. In entrambe le stagioni, la Serie A si classifica quarta, superando di poco la Ligue 1 (8 milioni e 441mila spettatori per il campionato italiano contro i 7 milioni e 956mila del campionato francese nel 2015-2016; 7 milioni e 170mila spettatori per la Serie A contro i 7 milioni della Ligue 1 quest’anno). Terzo posto per la Liga (10 milioni e 600mila spettatori nel 2015-2016 e 9 milioni 485mila quest’anno), secondo per la Bundesliga (13 milioni e 235mila spettatori nel 2015 2015-2016 e 11 milioni quest’anno) e primo per la Premier (13 milioni e 854mila spettatori nel 2015-2016 e 11 milioni e 922mila quest’anno).
Cosa fare per recuperare terreno? Innanzitutto è necessario colmare il gap che ci divide dagli altri campionati dal punto di vista delle infrastrutture. “Bisogna realizzare degli impianti nuovi e pensati per poter attrarre non solo gli appassionati di calcio ma anche chi vive con loro”, dice Capuano. Sarebbe sufficiente che si riuscisse a vivere lo stadio 14 ore il giorno della partita, offrendo una serie di servizi che al momento non ci sono e, magari, diversificando il costo. “Oggi il biglietto è l’unica fonte di ricavo legata all’evento e, quindi, il prezzo viene caricato. Se, invece, accanto al biglietto, al cliente venisse offerta la possibilità di un pranzo al ristorante o la fruizione di un centro commerciale, il costo del biglietto potrebbe avere un impatto meno importante. In termini economici, basta pensare a un business plan per cui le società prevedono che ciascuno degli spettatori che si reca allo stadio paghi, per esempio, 50 euro complessivi. Non è necessario caricarli tutti sul biglietto. Se al cliente vengono offerti altri servizi, il biglietto può costare anche 30 euro”. Altro aspetto da considerare è l’esigenza di trovare un equilibrio tra le esigenze delle tv italiane e quelle straniere. “In questo senso, le partite delle 12 e 30 sono risultate gradite dalla gente sia in termini di ascolti che di spettatori presenti all’interno degli impianti. Ciò perché sono match fruibili per chi viene da lontano, per chi deve portare i figli, cosa più faticosa in occasione delle partite notturne”. L’idea di studiare un calendario che sia il più possibile attrattivo per i nuovi clienti che allo stadio non ci sono mai stati è un ulteriore aspetto da tenere presente. “Oggi abbiamo generazioni di bambini e ragazzini che allo stadio non ci sono mai stati e se non li abitui ad andarci adesso li hai persi per sempre perché difficilmente a 20, 30, 40 anni saranno tuoi clienti”. Misure che per troppo tempo il sistema ha ignorato e che ora non può più ignorare. Nella speranza di una nuova primavera per il calcio italiano, in campo e tra gli spalti. Per vivere di nuovo momenti memorabili.