Condivisione di spazi fisici e di progetti. In una parola: coworking. È una delle nuove frontiere del lavoro e dell’imprenditoria. Nato agli inizi del nuovo millennio nei Paesi anglosassoni, si è presto diffuso nelle grandi metropoli, specie europee. Dei circa 2.300 spazi sorti nel mondo dal 2006, infatti, la maggioranza ha sede all’interno dell’Unione europea: Germania in testa e a seguire Spagna, Inghilterra e Italia.
Una realtà che da alcuni anni, complice la crisi del mondo del lavoro, sta conoscendo una significativa crescita. Non a caso il 4 dicembre 2013 si è tenuto al Parlamento di Bruxelles un incontro interamente dedicato al tema, che ha segnato il varo dell’inclusione del coworking all’interno dei programmi di agevolazione dell’ecosistema europeo per le startup. Con la motivazione che “il lavoro di comunità”, come ha detto nell’occasione Neelie Kroes, la vice presidente della Commissione europea, «offre una speranza al bisogno urgente di crescita, occupazione e innovazione».
Anche in Italia l’emergere di questa nuova organizzazione del lavoro, non è passata inosservata e ormai da alcuni anni sono sempre più frequenti gli incontri tra coworker e amministrazioni locali, per comprenderne le potenzialità e capire in che modo la macchina pubblica possa incoraggiare queste aggregazioni.
Il Comune di Milano è stato uno dei primi a interessarsi al fenomeno e, dopo aver ascoltato le istanze degli imprenditori, ha scelto di assecondare le realtà già presenti sul territorio, incoraggiando la domanda. Dal marzo 2013, dunque, ha proceduto con un bando per la realizzazione di un elenco qualificato dei coworking e, grazie all’intesa con la Camera di Commercio, ha stanziato 300.000 € per l’erogazione di voucher da 1500 € per ciascun lavoratore che ne faccia richiesta.
Ed è tra le strade di Chinatown che ha trovato sede uno dei coworking più grandi della città. Si chiama Impact Hub Milano ed è il primo nodo italiano di una rete internazionale che conta oltre 7000 membri e 60 sedi in tutto il mondo. Fornire un’infrastruttura a start-up innovative ad alto impatto sociale, ambientale e culturale è il suo obiettivo.
Varcato il cortile d’ingresso di via Paolo Sarpi 8, si entra in un accogliente e luminoso loft completamente ristrutturato. Un ambiente di lavoro condiviso, dove ogni professionista mantiene la propria autonomia, ma dove si cerca, soprattutto, di incoraggiare le sinergie, al fine di realizzare progetti comuni. Qui i coworker sono circa un centinaio e possono contare su un sistema di social network interno alla rete Hub che consente lo scambio di idee e competenze tra professionisti che possono portare avanti lo stesso progetto pur lavorando in Paesi diversi. È il primo pomeriggio e molti sono alla scrivania intenti a lavorare ai loro pc. C’è chi è impegnato con dei clienti nella sala riunioni e chi si ferma a fare due chiacchiere e bere un caffè nella zona cucina.
Seduto alla sua scrivania in cartone riciclato, c’è Alberto Conte. Ha 49 anni e per anni è stato il manager di una multinazionale americana con sede in Europa, fino a quando la sua «cronica irrequietezza» lo ha portato su un’altra strada: quella della bicicletta. «Sono sempre stato un appassionato di bici, perciò ho pensato di impiegare la mia passione per progettare percorsi di turismo slow». Da quando si è messo in proprio, ha realizzato diverse guide agli itinerari da fare in sella. Recentemente ha lavorato per il Touring club e con diversi enti (Regione Lombardia, Emilia, Toscana, Lazio, provincia di Asti) per rilievi Gps e la realizzazione di nuovi percorsi. Dopo aver fondato Itineraria, la sua impresa, ha cominciato a girare su e giù per lo Stivale senza avere un ufficio proprio. Da qui «è nata l’esigenza di trovare una scrivania presso un coworking» spiega. «Esco fuori, ho l’opportunità di vedere la gente, con le ricadute pratiche che comporta. Ho scoperto, infatti, che la mia vicina di scrivania era una grafica, ci siamo messi a parlare e oggi lavora per me. Il coworking è questo, è uno scambio di competenze».
Poco distante parlotta con due colleghe Franco Barbieri, 52 anni, fondatore di una rete di imprese votate alla sostenibilità nelle sue diverse declinazioni: ambientale, energetica, manageriale, di impresa sociale. Brianzolo di origine, si è laureato in Management all’Università del Connecticut ed è stato un dirigente in Fiat auto fino al 2003. Oggi è presente in altri due Impact Hub italiani, oltre a quello milanese. Non è il prototipo dell’ ambientalista: «Quello che cerco di far capire è che il rispetto dell’ambiente sul mercato rappresenta un business. Quel che dico ai miei clienti, siano essi hotel, industre, pubbliche amministrazioni, è che per essere un brand devono avere un valore aggiunto, ossia essere sostenibili per essere più competitivi. «Ad Impact Hub – dice – instauriamo sinergie per la nostra rete di imprese, troviamo nuovi stimoli».
Distante un centinaio di metri da qui, in un bel loft di via Bramante 8, c’è un altro coworking, ma di diversa concezione. Si chiama Indiehub ed è la creatura di Andrea Dolcino, 36 anni, ingegnere del suono ed ex responsabile di contenuti audio-visivi in una ditta di applicazioni per smartphone. «Noi – spiega Dolcino, oggi in veste di imprenditore – ci comportiamo come una Major musicale senza esserlo di fatto. Siamo in grado di seguire il prodotto musicale in tutte le sue fasi: dalla registrazione, alla post produzione, dall’animazione di una videoclip, alla grafica di copertina del cd, fino alla sua sponsorizzazione tramite ufficio stampa e l’organizzazione di eventi con la band». I coworker, perciò, sono lavoratori autonomi, ma sono altresì in grado di lavorare come un corpo unico, al pari di una catena di montaggio.
Al suo interno il loft ospita un ampio studio per l’incisione dei dischi, una stanza per i ricevimenti, 12 postazioni di lavoro e una cucina. Un luogo, quest’ultimo, «assolutamente prezioso, perché nei momenti di pausa è il punto di aggregazione e di scambio idee, dove possono nascere tanti progetti» spiega sorridente il neo imprenditore.
I coworker qui sono tutti molto giovani. Valentina Stucchi e Camilla Pagani, 27 e 28 anni, hanno fondato insieme a un amico la Milano music consulting, una società di consulenza musicale e da qualche mese hanno deciso di puntare su Indiehub. «Per noi – dice Valentina – questo è il luogo di lavoro ideale. Grazie allo studio di registrazione, infatti, conosciamo molti artisti che poi possiamo proporre a hotel, agenzie eventi, wedding planner che sono i nostri abituali clienti». Gaetano Petronio ha 31 anni e nel 2012 ha fondato la sua agenzia di stampa, la Gpc. La molla che lo ha fatto scattare verso la strada impervia dell’autoimprenditorialità «è stato il desiderio di lasciare libero sfogo alle idee e alle suggestioni». L’Illustratore e animatore in 3D, Enzo Benedetto di 38 anni, è il decano (si fa per dire) della squadra. Mentre il più giovane del gruppo ha 26 anni, si chiama Gabriele Simoni, ed è l’unico lavoratore direttamente alle dipendenze di Indiehub in qualità di tecnico del suono.
In pochi mesi di attività i frutti non sono tardati ad arrivare. Grazie, infatti, alla collaborazione con un’etichetta discografica indipendente, la Nau (translitterazione di «now», adesso) di Gianni Barone, sono già stati prodotti 4 dischi jazz ed è in corso di registrazione un album rock. Dalla sinergia tra Dolcino e Barone, inoltre, è nata una rassegna interamente dedicata alla musica jazz. Una serie di house concert per poche, pochissime orecchie selezionate in modo da incrociare domanda e offerta e promuovere giovani band d’avanguardia.
«Siamo una novella start up – sottolinea Dolcino – ma la fiducia è molta». Tanto coraggio e ottimismo nel futuro sono due caratteristiche che un coworker non può mai farsi mancare.
LORENZO MATUCCI
14/04/2014