Sold Out, l’emergenza migranti in cifre

a cura di Marta Proietti, Daniele Fiori e Claudio Rinaldi.

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“Non sappiamo più dove metterli”, è la retorica di chi costruisce muri. Il più famoso è quello ungherese, l’ultimo in ordine di tempo quello in costruzione al Brennero. Anche l’Austria ha deciso di fermare così l’arrivo dei migranti, in virtù di una presunta incapacità di accogliere. Ma quando un Paese può stabilire razionalmente che è arrivato il momento di chiudere le frontiere? Dunque, qual è la sua capacità di ricezione?

Le 4 regole della Commissione Europea
La Commissione Europea, per far fronte all’onda migratoria proveniente dalla Siria, dal Medio Oriente e dall’Africa settentrionale, ha stabilito nel maggio dello scorso anno 4 criteri considerati “obiettivi, quantificabili e verificabili, che riflettono la capacità degli Stati Membri di assorbire e integrare i rifugiati”. Lo scopo è quello di sancire una più equa distribuzione dei migranti tra i singoli Paesi dell’Unione Europea. I criteri selezionati sono i seguenti:
– la popolazione complessiva
– il PIL
– le domande di asilo ricevute e le domande accolte
– il tasso di disoccupazione
I due elementi a cui è stato attribuito un peso specifico maggiore sono PIL (40%) e popolazione (40%). Meno rilevanti il numero di domande di asilo (10%) e il livello di disoccupazione (10%).A settembre, il Consiglio dei ministri degli interni dell’Unione Europea ha approvato la ridistribuzione dei migranti secondo questi criteri. Inizialmente l’impegno riguardava 120 mila persone da ricollocare in dodici mesi, ma dopo le resistenze di alcuni Stati (Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Romania) è stato ridotto a 66 mila. Il Regno Unito, al contrario di Irlanda e Danimarca, ha usufruito della clausola di opt-out, cioè della possibilità di non accettare il piano di ricollocamento dell’UE. Londra ha deciso quindi di rifiutare la propria quota, nonostante sulla base dei 4 criteri (analizzati nei grafici sottostanti) avrebbe la più alta capacità di accoglienza, dopo Germania e Francia.

 Tabella PIL a 10 stati

Popolazione 10 stati

Tasso di disoccupazione

Richieste di asilo dal 2010 al 2014

EU vs USA
I 4 criteri sono stati utilizzati per ridistribuire i migranti, ma non per va­lutare quale sia la reale capacità di ricezione dell’Unione Europea. Una prima analisi emerge dal confronto con le politiche di accoglienza degli Stati Uniti d’America.
Gli Usa concedono la “Green Card” (status di residenza permanente, con benefici simili alla cittadinanza, tranne il diritto di voto) a circa un milione di immigrati ogni anno. Considerando i criteri stabiliti dalla Commissione Europea, se gli States accolgono 990 mila persone all’anno, l’UE ne potreb­be accogliere un milione e 270 mila.
Nel 2015, anno in cui si è parlato di emergenza migranti, hanno bussato alle porte dell’Europa (via Grecia e Italia) circa un milione di persone. Dunque meno di quella che è la capacità di ricezione del Vecchio Conti­nente, se paragonata agli Usa.
Per capire meglio quale sia l’impatto reale del fenomeno migratorio sulla popolazione UE, è sufficiente considerare che il milione di arrivi del 2015 corrisponde solamente allo 0,2% del totale degli europei (503,7 milioni di abitanti).
Il confronto con gli Stati Uniti d’America mostra quindi come l’Europa non solo potrebbe accogliere più migranti ogni anno, ma potrebbe anche offrire loro la residenza permanente (sul modello della Green Card).
In media, ecco (tabella destra) quale sarebbe l’impatto degli immigrati su ogni singolo Paese.

Tabella impatto arrivi

Altri criteri: “L’Italia agli Italiani!”
I criteri stabiliti dalla Commissione mostrano già di per sé come l’Europa abbia una capacità di ricezione che non giustifica, allo stato attuale, la necessità di costruire dei muri. Inoltre, questi parametri rappresentano valutazioni esclusivamente di natura economi­ca. Il fenomeno migratorio però non può essere inquadrato soltanto in questa chiave. Altre dimensioni dovrebbero essere considerate, possibilmente più attinenti alla sfera sociale e culturale dei Paesi che accolgono. Un primo criterio che potrebbe essere preso in consi­derazione è il saldo migratorio, ossia la differenza tra il numero di persone che arrivano in un Paese (immi­grati) e il numero di persone che partono (emigrati) in un anno. In Italia, ormai da diversi anni, il numero delle morti è superiore a quello delle nascite: nel 2014 que­sta differenza ha toccato quota 100mila unità. Se quindi confidassimo solo nel motto “L’Italia agli italiani!”, saremmo destinati progressivamente a invecchiare fino all’estinzione. E’ importante perciò che il saldo migra­torio sia positivo (più arrivi che partenze): solo grazie a un elevato numero di arrivi si può evitare la diminuzio­ne della popolazione. Secondo l’Istat, il saldo migratorio del 2014 resta positivo (+128 mila persone).
Ma i dati raccontano una parziale verità: spesso infatti gli italiani che vanno all’estero si dichiarano alle auto­rità straniere per ottenere alcuni benefici, ma non ri­nunciano, almeno sulla carta, alla residenza in Italia. La Germania è il caso più estremo: per l’Istat sono poco più di 17mila i partenti, ma l’omologa agenzia tedesca ne conta quattro volte di più. Se così fosse, il saldo mi­gratorio italiano sarebbe negativo.
Dunque, paradossalmente, i nuovi immigrati servireb­bero a colmare sia il vuoto lasciato dalle partenze, sia quello dovuto al crollo delle nascite rispetto alle morti. L’esempio italiano mostra quanto il saldo migra­torio sia un criterio rilevante per capire se un Paese può (o addirittura deve) accogliere.

Saldo demografico Italia 2014

Welcome on board!
Passando ad analizzare dimensioni diverse da quelle economiche o demografiche, un altro criterio per quantificare la capacità di rice­zione di un Paese potrebbe essere la disponibilità della popolazione ad accogliere. A tal proposito, interessanti risposte arrivano dal sondaggio mondiale dell’agenzia internazionale di consulenza strategica GlobeScan, che ha voluto così calcolare il “Refugee Welco­me Index” (Indice di Accoglienza dei Rifugiati). Il sondaggio, condotto in 27 paesi, ha coinvolto 27 mila persone, cui è stato chiesto se fossero disposte ad accogliere rifugiati nel loro Paese, nella loro città, nel loro quartiere o nella loro casa.
“I dati parlano da soli. Le persone sono pronte ad accogliere i rifugiati e le risposte inumane dei governi alla crisi dei rifugiati vanno contro il punto di vista dei loro cittadini”, ha dichiarato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International, in merito agli esiti del sondaggio.
In effetti, i risultati complessivi mostrano una propensione a dare il benvenuto agli immigrati: una persona su 10 prenderebbe un rifugiato in casa e una su tre lo accetterebbe comunque nel proprio quartiere. Il 47% degli intervistati accoglierebbe un migrante in città, mentre l’80% nel Paese.
In Germania, lo Stato che secondo i criteri stabiliti dalla Commissione Europea dovrebbe accogliere di più, quasi tutti i cittadini accetterebbero rifugiati nel loro Paese (il 96%). I politici tedeschi, secondo questo sondaggio, non dovrebbero quindi scontrarsi con l’opinione pubblica nel rispettare la loro quota.
Nel Regno Unito i risultati paiono a tal proposito ancor più sorprendenti (vedi grafico). Eppure una delle tematiche più influenti nel referendum sulla Brexit è proprio l’immigrazione. Chi vuole convincere i britannici a votare a favore dell’uscita dall’UE, punta infatti soprattutto sulla leva dei migranti. Ma, come detto, la Gran Bretagna ha rifiutato il sistema di ricollocamento stabilito dall’UE, dimostrando già ampia autonomia sul tema.
Interpellare direttamente i cittadini sul fenomeno migratorio, permetterebbe forse ai governi di capire quanti di loro sarebbero disposti ad accogliere e ad aiutare in prima persona. Di conseguenza, sarebbe un criterio rilevante nel determinare la capacità di accoglienza dello stesso Paese. Sempre per quel che riguarda la disponibilità della popolazione ad accogliere, ulteriore fattore potrebbe essere il livello di istruzione. Un Paese più colto, ovvero dove la percentuale di diplomati e laureati risulta elevata, potrebbe essere anche un Paese più consapevole di quello che succede al di là delle proprie frontiere e quindi capace di comprendere meglio il fenomeno migratorio.
Ipoteticamente, si potrebbe anche affermare che un tasso elevato di diplomati e laureati sia sintomo di un sistema di istruzione migliore: un fattore sicuramente positivo per chi arriva.

Disponibilità ad accogliere Regno Unito

Poveri noi!
Un altro criterio da considerare, che solo apparentemente riguarda la dimensione economica, è il tasso di povertà di una Nazione. Se si considerasse solo il Pil (elemento utilizzato dalla Commissione Europea), si valuterebbe esclusivamente il benessere medio della popolazione.
La povertà invece certifica quante persone sono in reale difficoltà economica e di conseguenza come agisce uno Stato dal punto di vista del welfare.
Chiaramente, un Paese con un alto tasso di povertà potrebbe avere più difficoltà ad accogliere migranti, ma soprattutto a integrarli nel sistema socio-economico. L’andamento degli ultimi anni di questo fattore mostra come effettivamente dovrebbe essere considerato nel calcolare la capacità di ricezione. Infatti, dopo la crisi economica del 2008, il tasso è aumentato in tutti i Paesi UE, calando solo negli ultimi due anni.
Quindi, dando valore a questo criterio, la capacità di accoglienza si sarebbe giustamente abbassata negli anni della crisi, per poi rialzarsi ora che la situazione economica va migliorando.
Inoltre, questo tasso sembra smentire anche chi sostiene che il boom di arrivi di migranti abbia aumentato la povertà complessiva dei cittadini che li hanno accolti.

Povertà in Europa

Essere comunità
Gli ultimi due criteri che potrebbero essere rilevanti sono difficilmente quantificabili, perché più astratti. Il primo è il capitale sociale, inteso come il buon funzionamento della vita sociale e politica di una comunità. Nel 2012, per provare a quantificare questo criterio nelle regioni italiane, l’ “Associazione Regioss” ha preso in considerazione 5 elementi: l’attività di volontariato, le persone che hanno versato soldi ad associazioni, il lavoro irregolare, la frequenza con cui ci si informa di politica e i reati ambientali.
Si intuisce come il capitale sociale potrebbe essere una misura utile per calcolare la capacità di accoglienza: i suoi parametri sono tipici di una società più aperta e forse più predisposta all’accoglienza.

Happiness is better
Ultimo fattore: l’indice di felicità. Ovviamente, la felicità è soggettiva, però l’Università della British Columbia ha provato a mi­surarla nel World Happiness Report. L’indice sintetizza numeri reali come il reddito pro capite e l’aspettativa di vita di un Paese, con aspetti più inerenti alla sfera privata come: avere qualcuno su cui contare, la libertà nel fare scelte di vita, la libertà dalla corruzione e la generosità.
Specialmente queste ultime variabili sono rilevanti, non solo per provare a misurare la felicità, ma anche per la capacità di ricezione. Dopotutto, i due aspetti potrebbero essere legati: uno Stato più felice è un luogo più accogliente?

E quindi…
Il fenomeno migratorio è ormai da tempo al centro dei dibattiti e delle cronache. Nonostante questo, manca uno studio approfondito sulla capacità di ricezione di uno Stato. I criteri elencati potrebbero colmare questa lacuna e di fatto smentire chi costruisce muri materiali o ideologici. Inoltre, potrebbero aiutare a stabilire una più equa ridistribuzione delle quote tra i paesi UE.
Non c’è dubbio che alcuni criteri meriterebbero un’analisi statistica più dettagliata e che comunque rimane difficile quantificare con precisione numerica la capacità di accoglienza. Tuttavia, già dal confronto con gli Usa e da una prima valutazione sugli altri possibili criteri, emerge come l’Europa possa fare di più.

Oggi, dichiarare il sold out è infondato.

Arrivi vs Popolazione Ue

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