Il presente – come il passato – è il petrolio. Il futuro potrebbe essere la patata. Questa, almeno, è la speranza della Nigeria. Il crollo registrato negli ultimi anni dal prezzo dell’oro nero, responsabile del 95% dell’export, ha colpito duramente la prima economia africana. Nel 2016, il PIL è calato dell’1,6%: la peggiore recessione degli ultimi venticinque anni. Contrazione che – secondo il Fondo Monetario Internazionale – sarà recuperata solo in parte nel 2017. Molti dipendenti statali, all’apice della crisi, sono rimasti per mesi senza salario.
IL PETROLIO NIGERIANO. La Nigeria è il primo esportatore di petrolio del continente e il dodicesimo al mondo, ma non è autosufficiente dal punto di vista energetico. Per soddisfare il fabbisogno dei suoi 186 milioni di abitanti, importa carburante per circa 10 milioni di dollari al giorno. Un paradosso a cui si proverà a rimediare con la costruzione della più grande raffineria del pianeta a Lekki, a circa 30 km da Lagos e 700 dalla capitale, Abuja. L’impianto avrà una capacità di 650.000 barili al giorno, ma non basterà, da solo, alla ripresa di un paese dove i due terzi della popolazione vivono sotto la soglia di povertà. E allora «la principale speranza della Nigeria», secondo il ministro dell’Agricoltura e dello Sviluppo Rurale, Augu Ogbeh, «è la patata dolce».
LA PATATA DOLCE. Secondo i dati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), la produzione del possibile futuro perno dell’economia nigeriana è in crescita, e ha raggiunto il 60% del totale globale. Ciò nonostante, ne viene esportata una quantità inferiore rispetto ad altri paesi, come il vicino Ghana. In giugno, il governo ha lanciato dunque un programma di investimenti per rafforzarne l’export. Per ora, ne sono stati vendute in Europa e America – i mercati a cui guarda in particolare il piano – appena 200 tonnellate: una frazione infinitesima degli oltre 200 milioni di tonnellate prodotte ogni anno. Quantità lontana dal garantire gli ambiziosi obiettivi del piano: un giro d’affari da 6 miliardi di dollari l’anno e migliaia di posti di lavoro nel settore dell’agricoltura.
SFRUTTARE L’IMMIGRAZIONE. L’attenzione verso Europa e America mira a sfruttare i flussi migratori. Abuja spera infatti che i nigeriani che si stanno spostando verso i paesi più sviluppati vogliano mantenere le loro abitudini alimentari. Che prevedono la patata dolce in varie vesti: bollita, fritta, arrosto, sotto forma di polenta (il fufu), come accompagnamento a stufati e zuppe.
LE CARENZE STRUTTURALI. Il programma, però, deve fare i conti con carenze infrastrutturali. Circa un terzo delle patate dolci prodotte ogni anno marcisce prima di giungere sul mercato, a causa della conservazione inadeguata. E se il governo si può occupare di stringere accordi commerciali con altri paesi, spetta però ai privati provvedere alla vendita e al trasporto dei tuberi.
«Profitti scarsi: troppe spese per conservazione e trasporto»
– Prince Vincent Tandev Amaabai, produttore di patate dolci
IL PROBLEMA DEL TRASPORTO. «Sono riuscito a esportare 76 tonnellate negli Stati Uniti», ha spiegato alla Bbc un produttore, Prince Vincent Yandev Amaabai. «Resta però l’ostacolo dei finanziamenti. Se il governo riuscisse a fare da tramite con le ditte che si occupano del trasporto per abbassare i prezzi, ne trarremmo grandi benefici. I miei profitti sono stati scarsi a causa delle spese per la conservazione e il trasporto». Il viaggio di 30 tonnellate di patate dalla Nigeria agli Usa costa infatti circa 10.000 dollari, e richiede circa 40 giorni di navigazione. Una buona parte marcisce prima di arrivare a destinazione e riduce il guadagno dei produttori. È stato questo il caso di 72 tonnellate sbarcate in America. E fra il 2015 e il 2016, altri 67 prodotti agricoli di provenienza nigeriana sono stati respinti da paesi dell’Unione Europea per la stessa ragione. Alcuni esportatori – come John Okakpu, dirigente di Abx World – hanno attribuito parte della responsabilità alle troppe agenzie di controllo che chiedono di supervisionare i prodotti e ritardano la spedizione. Altri, però, hanno invocato un aiuto statale per migliorare la conservazione durante il viaggio.
IL PREZZO DELLA LAVORAZIONE. Secondo alcuni analisti, la politica del governo di Abuja sarebbe più vantaggiosa se le patate esportate fossero già lavorate. «È una fantastica idea», ha commentato il ministro Ogbeh, «ma provate a chiedere a queste persone quando costa costruire uno stabilimento per la preparazione di fecola di patate. Purtroppo, le nostre ambizioni in questo momento incontrano degli ostacoli. Quando avremo superato la crisi e avremo raggiunto la stabilità, quando il costo dell’energia elettrica e i tassi d’interesse diventeranno più ragionevoli, allora potremo provare qualcosa di diverso».
«UN PERICOLO PER I PIÙ POVERI» Il mancato decollo dell’export delle patate, secondo alcuni commentatori, è in realtà una buona notizia per i nigeriani. La tesi è che un eventuale aumento della domanda estera provocherebbe un incremento del prezzo in patria. A pagare, in quel caso, sarebbero i poveri della Nigeria: una schiera di 112 milioni di persone.