Giannis Antetokounmpo,
sulle orme del Re

Nella notte alla Quicken Loans Arena di Cleveland si è giocata la sfida tra i Cavaliers di Lebron James e i Milwaukee Bucks di Giannis Antetokounmpo. Hanno vinto i Cavs, guidati da un Lebron in versione extralusso: tripla doppia da 40 punti, 12 rimbalzi e 10 assist. Ai Bucks non basta lo show nel finale di Giannis Antetokounmpo (37 punti a referto, 19 dei quali nell’ultimo periodo e 11 rimbalzi) per resistere. Per ora, è rimandato il passaggio di testimone tra il presente e il futuro della NBA.

La designazione di Giannis come erede del Re aveva vissuto il momento di maggior clamore il 6 febbraio 2018 al Madison Square Garden. Quando verso la fine del terzo quarto i Milwaukee Bucks partono in contropiede contro i Knicks padroni di casa e Khris Middleton alza il pallone per Giannis Antetokounmpo, nessuno può immaginare quello che sta per succedere. The Greek Freak tiene fede al suo soprannome e si esibisce in una schiacciata che ha pochi precedenti, saltando letteralmente sopra al suo avversario, Tim Hardaway Jr, alto quasi due metri. Prima di Giannis, ci erano riusciti Vince Carter e LeBron, che però aveva approfittato della bassa statura dell’uomo da saltare.

L’ascesa  di Giannis ricorda la storia di un altro Prometeo del gioco, quel LeBron James che dal Draft del 2003 in poi ha dimostrato che il fisico di un giocatore non necessariamente determina la sua collocazione in un ruolo predeterminato. Il greco ha un fisico da ala forte e la tecnica di un esterno puro ed è stato il protagonista di un processo che lo ha portato a diventare il creatore di gioco principale dei Bucks, quasi un vero e proprio playmaker.

Non si era mai visto qualcosa di simile ad Antetokounmpo: un giocatore di 211 centimetri con braccia e gambe lunghissime, caratteristiche fisiche fuori dalla norma che unite ad atletismo, agilità e un controllo del corpo eccezionale esaltano un istinto cestistico e una tecnica da predestinato. Avere un portatore di palla con la struttura fisica di un lungo tradizionale offre una serie di opportunità che nemmeno la point guard più veloce può creare: visione di gioco sopra la difesa in ogni situazione, dal contropiede alla difesa schierata, capacità di generare continui aiuti degli avversari che fanno sistematicamente saltare il banco degli accoppiamenti difensivi.

La lacuna più grande nel gioco di Giannis, la scarsa affidabilità nel tiro dalla media distanza e dalla linea dei tre punti, è mascherata dalla sua capacità di creare e riconoscere situazioni di gioco di vantaggio per la squadra. L’allenatore può limitarsi a mettergli intorno tiratori in grado di costringere le difese ad aprirsi e lasciar fare alla stella dei Bucks quello che gli riesce meglio: attaccare il canestro. Se la difesa gli toglie la linea di penetrazione e riempie l’area, Antetokounmpo è bravo a creare vantaggi per i suoi compagni con una capacità ‘LeBroniana’ di scandagliare il campo per trovare il compagno libero, che sia il rollante per un assist o il giocatore più lontano dalla palla. Appena riesce a mettere un piede nel pitturato Giannis crea danni e tenerlo lontano dall’area dei tre secondi è un rebus ancora irrisolto per le difese avversarie.

Il greco ha numeri nella restricted area paragonabili solo a LeBron e in carriera non si è ancora posto davvero il problema di diversificare le conclusioni come il Prescelto, perché la sua imprevedibilità lo porta ad arrivare al ferro contro chiunque. In post basso può approfittare della sua stazza, quando non ha la palla è abile a leggere le situazioni, in contropiede e in transizione è impossibile da arginare, come dimostra la schiacciata ai danni di Hardaway Jr..

Un giocatore paragonabile al greco è Ben Simmons, il rookie dei Philadelphia 76ers che ha numeri simili al Greek Freak. Anche Simmons è stato presto definito come ‘nuovo LeBron’, ma una cinquantina di partite di stagione regolare sono un campione troppo esiguo per azzardare un paragone statistico rilevante. Diverso il discorso per il 23enne Antetokounmpo, che è alla sua quinta stagione oltreoceano. Escluse le due apparizioni ai playoff, troppo brevi per essere paragonate alle frequenti apparizioni in post season dei Cavaliers del giovane LeBron, le cinque regular season possono dare un’idea del rendimento del giovane Giannis rispetto al 23 di Cleveland nei primi anni di NBA. Entrambi sono giocatori ‘totali’, quindi abbiamo sommato le medie di punti, rimbalzi e assist in ogni stagione per scoprire se il percorso di crescita del greco lo potrà portare in futuro ai livelli del rivale. Il ritmo di crescita appare simile, ma LeBron rimane su un livello decisamente superiore rispetto al greco, almeno fino alla quinta stagione. L’esplosione di Antetokounmpo versione 2017-2018, nonostante manchino ancora una trentina di partite, si avvicina molto agli altissimi standard della quinta regular season di LeBron (2007-2008), per la prima volta miglior realizzatore della Lega dopo aver trascinato Cleveland alle Finali nell’estate precedente.

Il notevole divario tra i numeri dei due giocatori nelle prime quattro stagioni non è spiegabile soltanto con l’ipotetica inferiorità di Antetokounmpo. LeBron è cresciuto in un contesto difficile, con una madre single che faticava a trovare un lavoro e i soldi per sfamare il figlio, ma ha iniziato a giocare a basket a 9 anni ed è stato presto inserito in un contesto scolastico che gli ha permesso di diventare il giocatore di high school più scrutinato nella storia del basket. Diversa la storia di Giannis, figlio di nigeriani emigrati ad Atene per cercare migliori condizioni di vita, che da piccolo per aiutare i genitori a mantenere lui e il fratello vendeva occhiali e orologi per strada. Antetokounmpo ha iniziato a giocare a basket intorno ai 13 anni al playground del sobborgo ateniese di Sepolia, iniziando a competere in un contesto competitivo soltanto a 15. Tre anni dopo, la sua prima e ultima stagione in una squadra della A2 ellenica, poi l’inizio dell’avventura oltreoceano e la cittadinanza greca ottenuta soltanto un mese prima dall’intero nucleo famigliare, fino a quel momento apolide. Con queste premesse, è evidente che una volta catapultato nella NBA il suo percorso di adattamento alla nuova realtà sia stato più complesso rispetto a quello del giovane James.

Oltre ai punti, ai rimbalzi e agli assist, c’è un altro numero che aiuta a determinare l’impatto dei giocatori sul gioco. Il dato in questione è il Player Efficiency Rating (PER),  la valutazione ‘per minuto’ sviluppata dal giornalista di ESPN John Hollinger. La formula matematica, abbastanza complessa, somma le componenti positive del gioco quali canestri dal campo, tiri liberi, triple, assist, rimbalzi, stoppate e palle recuperate, attribuendo a ciascuna voce un peso specifico diverso (ad esempio un tiro da due è valorizzato 1,65 punti, un canestro dall’arco 2,65). Al risultato ottenuto si sottraggono le voci negative: tiri sbagliati (che pesano 0,72 punti), palle perse e falli personali. Ciò che ne deriva è poi ‘aggiustato’ in base ai minuti trascorsi sul campo dal giocatore e rispetto al ritmo medio della squadra, individuato in base ai possessi gestiti durante l’arco dei 48 minuti. Il risultato è un valore, da leggersi per minuto, che sintetizza il valore e il peso specifico del giocatore analizzato. Le critiche mosse a questa valutazione statistica si fondano principalmente sulla constatazione che essa è sbilanciata verso i valori di produzione offensiva, senza riuscire a dare il giusto peso alle piccole cose che un giocatore può fare utilmente in campo senza che le stesse siano rilevate in un tabellino.

Per quanto riguarda l’efficiency nelle prime tre stagioni prese in esame, LeBron è nettamente in vantaggio, ma nelle ultime due la situazione si capovolge e il greco sorpassa il 23 di Cleveland. Difficile dire se la crescita esponenziale del giocatore dei Bucks lo porterà ad avere una carriera longeva e statisticamente paragonabile a quella, mostruosa, di James. Una cosa è certa: se riuscisse a migliorare le sue statistiche nel tiro dalla media e da 3, Giannis Antetokounmpo potrebbe ambire a essere incoronato come nuovo Re della NBA. Ma come ha dimostrato la partita di stanotte, forse dovrà pazientare ancora per qualche stagione.

Andrea Madera

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