Bitcoin, tutti i numeri dell’ascesa

Era la moneta dei nerd e dei pirati della rete, oggi è uno strumento finanziario tanto sdoganato da aver cominciato a far gola ad alcune economie statali. Nelle intenzioni del suo ideatore, che si cela sotto lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto, la funzione del bitcoin stava da qualche parte là in mezzo: doveva rivoluzionare il sistema globale di scambi di valore.

Il 15 settembre 2008 implode la Lehman Brothers. La grande banca d’affari statunitense, travolta dai mutui subprime, dichiara bancarotta. È l’inizio della crisi economica più grande dal crollo di Wall Street del 1929. Quarantasei giorni dopo, il 31 ottobre, viene presentato al mondo di internet il documento Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System. Descrive una modalità di pagamento elettronico che elimina dalle transazioni le terze parti di fiducia, ovvero le banche. È il manifesto della sfiducia verso gli istituti finanziari, il piccone con cui gli anarchici del web sperano di frantumare il sistema economico tradizionale. Tra di loro la moneta comincia a diffondersi, attraverso il passaparola degli hacker il bitcoin comincia a evolversi.

A inizio 2010, un bitcoin vale circa 3 millesimi di dollaro ed è usato soprattutto da chi vuole portare a termine traffici illeciti senza lasciare tracce nel mondo fisico. Tracce però se ne lasciano, nel mondo digitale della blockchain. Si tratta del registro digitale distribuito su tutta la rete che tiene conto di tutte le transazioni realizzate in bitcoin. Ecco l’elemento di fiducia che permette i passaggi di denaro: ciò che è sulla blockchain è visibile a tutti ed è immodificabile. Per validare una transazione, questa deve essere confermata da tutta la rete attraverso una serie di indovinelli crittografici. L’algoritmo che gestisce la blockchain di bitcoin prevede che l’emissione di nuova moneta avvenga in automatico come ricompensa a chi impegna risorse informatiche a sostegno delle transazioni. È un sistema digitale indipendente, autoregolato, diffuso e decentrato. L’esatto opposto delle banche.

Sempre più movimenti


Il 3 gennaio 2009 Satoshi Nakatomo mina il primo blocco della blockchain e genera i primi 50 bitcoin. Il 12 viene effettuata la prima transazione. È indirizzata a un programmatore di nome Hal Finney, che per anni è stato indicato come il vero padre della moneta virtuale. Nei primi undici mesi di vita della criptovaluta le transazioni giornaliere rimangono in doppia cifra; perché si superi stabilmente quota 1000, bisogna attendere il 2011. Il grafico qui sopra, realizzato sui dati forniti da blockchain.info, il portale che registra tutte le transazioni di bitcoin in tempo reale, mostra poi una crescita sostenuta che parte nella primavera 2012. Proprio il 3 giugno 2012 viene creato il blocco fino ad allora più grande (il numero 181.919): contiene 1.322 transazioni. Considerando che servono 10 minuti per costruire e validare un blocco, e fingendo che quel blocco record sia la norma, in 24 ore potevano avvenire circa 180.000 movimenti. A questo punto l’espansione è già notevole. Ma non è ancora niente rispetto a quanto accadrà cinque anni dopo, durante l’anno magico 2017, quando in un solo giorno di dicembre si sfiora il mezzo miliardo di transazioni. Il blocco 181.919 deve il suo record al Dark Web, l’internet oscuro dove sguazzano trafficanti e criminali di cui il bitcoin diventa “moneta ufficiale”.  E se la valuta utilizzata nell’Amazon dei narcos è arrivata su tutte le pagine dei giornali, deve (quasi) tutto al denaro: la popolarità della criptovaluta cresce all’aumentare del suo controvalore in dollari. E la vetrina migliore la ottiene nei momenti in cui pare viaggiare sulle montagne russe.

Controvalore

La storia del prezzo dei bitcoin è costellata di bruschi crolli che hanno prodotto pagine di giornali imbastite a lutto. «Bitcoin, scoppia la bolla speculativa», titolava il Sole 24 Ore il 10 aprile 2013. Erano i primi spazi che la criptovaluta riusciva a ritagliarsi tra i giornali italiani, incuriositi da un -60% o -70% in poche ore che risultava inedito per i titoli di borsa tradizionali. In particolare, i crolli maggiori nella storia di bitcoin sono un incredibile -94% toccato a novembre 2011 e una discesa dell’85% tra fine 2013 e gennaio 2015. In tutti i casi, il bitcoin si è sempre ripreso, arrivando successivamente a toccare un nuovo massimo.

Al contrario, gli utenti di internet sembrano accorgersi del bitcoin solo nei momenti di forte rialzo: è proprio durante i massimi che Google Trends registra i picchi delle ricerche del termine. Il grafico qui sotto mostra le tre sovrapposizioni più nette, quelle in corrispondenza dei picchi di giugno 2011, aprile 2013 e novembre 2013 (fonte dati sui prezzi: Coindesk; fonte dati sulle ricerche: Google Trends).

Si delinea un atteggiamento doppio: i giornalisti seguono i crolli, la gente del web segue i picchi. Sta di fatto che in questo modo il bitcoin raggiunge sempre più persone e amplia la platea di chi li conosce o, più semplicemente, ha cominciato a orecchiarne il nome. Nel 2014, una notizia ha avuto risonanza globale: «Piattaforma di bitcoin Mt. Gox dichiara bancarotta. Persi 345 milioni di euro» (Il Sole 24 Ore, 28 febbraio). Fino ad allora Mt. Gox era stata la principale piattaforma di compravendita di bitcoin al mondo. Nel giro di una settimana va offline e porta i libri contabili in tribunale. Il prezzo del bitcoin accusa il colpo, ma in pochi giorni torna a salire: la fine di Mt. Gox, invece di affossarlo, si è trasformata in un utile megafono. In seguito, dopo un ultimo crollo nel 2015, comincia un lento aumento del controvalore in dollari che contribuisce ad allargare la platea di chi vuole un bitcoin, anche solo per realizzare un utile a doppia cifra nel giro di qualche settimana. La crescita, seppur inarrestabile, non segna picchi clamorosi. Almeno fino al 2017.

2017: l’anno magico

“L’anno in cui il mondo ha scoperto (e ‘apprezzato’) il bitcoin”, titola sempre il Sole 24 Ore l’ultimo giorno del 2017. Nel corso di dodici mesi il prezzo della criptovaluta cresce del 900%. Ma il segno più lampante del successo del bitcoin è su Google, dove nel novembre 2017 realizza il sorpasso su un termine di ricerca tanto evocativo quanto universale: Jesus.

La popolarità di quello che è stato pensato come un grimaldello contro i sistemi tradizionali provoca le critiche dei grandi della finanza globale. Il 12 settembre Jamie Dimon, ceo di JPMorgan, sentenzia: «È una frode ed è peggio dei bulbi di tulipano», riferendosi alla bolla scoppiata in Olanda nel Seicento, una delle più famose della storia dell’economia. È un mercato, quello dei bitcoin, ancora piccolo e suscettibile alle dichiarazioni esterne: unita alla dichiarazione di illegalità da parte della Banca Popolare della Cina, la frase scatena il panico, e il prezzo scende da 4200 dollari a 3200. «Ascesa e declino del Bitcoin» è il titolo funereo della Stampa. Quasi a fare un dispetto agli osservatori, il bitcoin si è sempre ripreso, e sempre è tornato a crescere.

Nel 2017, gli operatori delle borse di tutto il mondo hanno lungamente esultato: è stato l’anno con la crescita più sostenuta dalla crisi del 2008. Tuttavia, se un operatore di Wall Street paragonasse il listino principale statunitense (fonte: Yahoo.it) con il grafico del bitcoin sul dollaro (fonte: Coindesk), impallidirebbe:

Effetti collaterali/1: gli imitatori e gli innovatori

Le altre criptovalute (dette AltCoin, da “alternative coin”) che sono nate negli anni sono state create per due motivi opposti: migliorare un sistema tutto sommato perfettibile e replicare uno strumento per lucrare sul suo successo. L’alto prezzo delle commissioni e la lentezza delle transazioni sono stati i due principali punti deboli del bitcoin. Evidenziate nei momenti di espansione della rete, si è cercato di risolverli in due modi. Da un lato gli sviluppatori della blockchain di bitcoin hanno provato a ottimizzarla senza traumi, dall’altro lato, quando non si è raggiunto un accordo tra tutti gli informatici della rete, sono state create monete alternative partendo dalla stessa base di bitcoin. Quest’ultimo è il caso, per esempio, di Litecoin, creata nel 2011 per velocizzare la rete, e di Bitcoin Cash, nata a luglio 2017 per aumentare la capienza dei blocchi della blockchain.

Non sempre, però, le scissioni o le creazioni da zero di nuove monete virtuali sono scaturite da progetti di miglioramento del bitcoin. Tra le oltre 1400 criptovalute Per orientarsi nel criptoceano, criptorating. Nonostante questo mare di alternative, il Re delle criptovalute – come è chiamato dai fan più accaniti – rimane sempre il bitcoin. È la prima e più conosciuta. Ed è la più decentralizzata, poiché non esiste un ideatore che detenga parte delle monete. Inoltre, la capitalizzazione del mercato delle criptovalute evidenzia il dominio del bitcoin sulle altre.

Il grafico fotografa il momento di massima espansione -fino a ora- del bitcoin, il 19 febbraio 2017. Oltre al paragone con gli altri settori, mostra anche la ripartizione interna del mercato delle criptovalute, con il bitcoin che, nonostante la frenata delle ultime settimane, continua a essere la moneta virtuale più capitalizzata al mondo. Considerando solo le prime dieci criptovalute (che valgono circa l’80% dell’intero mercato, il restante 20% è coperto da quasi 1400 monete), il bitcoin pesa per il 43%:

Per orientarsi nel mare degli imitatori e dei miglioratori di bitcoin, l’agenzia di rating finanziaria Weiss ha esaminato le principali criptovalute, e il 24 gennaio 2018 le ha ordinate in una classifica (che, pur essendo a pagamento, è già circolata su internet sotto forma di screenshot). A sorpresa, il bitcoin è stato valutato solo con una C+, mentre Ethereum, la principale rivale della moneta ideata da Satoshi, sovrasta tutti dall’alto della sua B.

Effetti collaterali/2: le Ico

Parlando di fratelli e sorelle del bitcoin, ci si imbatte nel fenomeno delle Ico (Initial coin offers) che, sfruttando la celebrità del capofila, secondo le stime di Forbes hanno attirato investimenti pari a 5 miliardi di dollari nell’anno solare. Nel grafico sopra sono rappresentate le Ico dal 2014 al 2017, suddivise per anno, con il loro nome e la loro raccolta in milioni di dollari (elaborazione di MasterX su dati Coindesk): il successo di tale pratica nel 2017 è evidente.

Ico ricalca l’acronimo Ipo, le offerte pubbliche iniziali attraverso le quali le imprese si quotano in borsa e vendono parte delle proprie azioni al libero mercato. Le Ico adattano lo stesso principio al mondo digitale: in cambio di un finanziamento, le società offrono una moneta da loro emessa che si potrebbe apprezzare in base alle richieste del mercato.

La differenza sostanziale è che nel primo caso l’investitore compra una parte dell’azienda, e beneficia dei dividendi che questa realizza. Al contrario, nel mondo delle Ico viene acquistato un oggetto prodotto dall’azienda, che produrrà ricchezza finché altri investitori crederanno nel progetto. È un mondo comunque estremamente legato a quello delle Altcoin, anche perché gran parte di esse sono nate proprio attraverso una Ico. In entrambi i casi ci sono alcuni progetti validi (pensiamo per esempio a Ethereum, la principale blockchain rivale del bitcoin) e altri che sono palesi tentativi di sfruttare la foga criptografica e guadagnare soldi facili. Se di punto in bianco l’entusiasmo si spegnesse, anche la bolla delle Ico si sgonfierebbe.

Effetti collaterali/3: cavalcare l’onda

Ulteriore dimostrazione della volatilità e della possibilità di sfruttare le criptovalute come fossero vacche da mungere è dato dalla Long Island Iced Tea. Il 21 dicembre 2017 la piccola e poco conosciuta società del New Jersey, produttrice di bevande analcoliche, modifica il suo nome in Long Blockchain. Risultato: il titolo schizza da 2,44 a 9,49 dollari. La mente torna al fenomeno delle “dotcom”, aziende che, alla fine degli anni ’90, inserirono la dizione “.com” al loro nome, pur non avendo nulla a che vedere con il mondo digitale, per cavalcare la bolla di internet.

Tulipanisti e rivoluzionari

Ora la domanda decisiva: scoppierà come una qualsiasi bolla dei tulipani o cambierà per sempre il nostro approccio alle transazioni come la moneta tradizionale fece con il baratto? Da sempre il mondo si divide in rivoluzionari, coloro che vogliono cambiarlo, e reazionari, coloro che si oppongono ai cambiamenti. Il mondo dei bitcoin non è da meno: potremmo chiamare Entusiasti tutti i sostenitori delle monete crittografiche e Tulipanisti quelli che invece le guardano come se fossero il demonio sceso in terra. Tra i primi si annoverano esperti di tecnologia ed economisti digitali, tra i secondi gli appartenenti all’establishment del sistema bancario e finanziario.

Già, se il bitcoin non raggiungerà la quotazione di 500.000 dollari entro il 2020, John McAfee ha annunciato di essere pronto a tutto. Il celebre informatico (e inventore dell’antivirus che porta il suo nome) è indubbiamente il più importante sostenitore del bitcoin. E lo ha dimostrato a luglio su Twitter, quando pronunciò quella frase ormai celebre tra i cultori delle criptomonete. E, non pago, ha rincarato la dose a fine novembre:

Dall’altra parte della barricata ci sono i grandi della finanza globale: Goldman Sachs, i vari ministri dell’Economia e il Jamie Dimon di Jp Morgan ricordato sopra. Sono i Tulipanisti, quelli che più o meno a ogni giro dell’orologio evocano (e talvolta invocano) la bolla dei tulipani, che nel XVII secolo ha reso un bulbo di tulipano più caro di una casa. Nel giro di quattro anni di folli commerci, il prezzo di un tulipano è cresciuto di 60 volte, prima di sprofondare improvvisamente sotto il prezzo di partenza allo scoppio della bolla. In un tempo simile (sempre quattro anni), il bitcoin ha subito un’evoluzione simile (fino a quasi 45 volte superiore al valore di riferimento di 434 dollari, del marzo 2014). Ma accorciando la linea temporale, si vede che il bitcoin è cresciuto di quasi 90 volte tanto in due anni e mezzo. Un aumento straordinario, dovuto al big boom del 2017. Obbedendo al principio secondo cui ciò che sale deve scendere, alla fine del quadriennio i tulipani sono crollati quasi a zero, e lo stesso bitcoin ha cominciato una discesa che ne ha più che dimezzato il valore.

Tulipani? No, blockchain!

Cosa accadrà alla bolla delle criptovalute? L’algoritmo del bitcoin prevede che l’emissione di moneta rallenti ogni quattro anni fino al limite di 21 milioni di unità. Oggi ce ne sono circa 17 milioni e tra vent’anni sarà stato emesso il 98% del totale, che verrà raggiunto nel 2140. Questo fa del bitcoin un bene scarso: il prezzo dipende esclusivamente dalla sua domanda. Inoltre, a chi obietta che non ha garanzie fisiche su cui fondare il suo valore, occorre ricordare che lo stesso dollaro non è garantito da un sottostante dal 1971, da quando Nixon sancì la fine della sua convertibilità in oro. In effetti, un sottostante da cui dipende il valore del bitcoin c’è, ed è la blockchain, che promette innovazioni rivoluzionarie.

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