È morto Gillo Dorfles, scompare a 107 anni il rivoluzionario critico d’arte

Come l’arte anche Gillo Dorfles sembrava senza tempo. Ogni volta che si manifestava al pubblico con un’apparizione a sorpresa, come quanto accaduto lo scorso 13 gennaio quando aveva inaugurato una mostra alla Triennale di Milano, pensavamo che Dio si fosse dimenticato di lui. Il suo lungo viaggio nel Novecento si conclude un venerdì mattina, quando tutte le innumerevoli vite che ha percorso nei suoi 107 anni d’età hanno trovato compimento.

Ma chi fu realmente quest’uomo che indossò il Novecento con la stessa eleganza con cui vestiva gli abiti confezionati dai migliori sarti? Nato a Trieste il 12 aprile del 1910, dopo la prima guerra mondiale il giovane Gillo si trasferisce con la famiglia a Genova dove trascorre l’infanzia, per poi spostarsi a Milano e a Roma.

A partire dagli anni Trenta ha svolto un’intensa attività di critica d’arte e saggistica collaborando a riviste quali «La Rassegna d’Italia», «Le Arti Plastiche», e «La Fiera Letteraria». Ma per l’ennesima volta, dopo la laurea nel ’34 in neuropsichiatria, Gillo cambia marcia cercando nuove prospettive: esordisce infatti in pittura lasciandosi influenzare dallo stile che aveva trovato in Klee e Mirò le sue espressioni più compiute, sino a fondare nel 1948 con Bruno Munari, Atanasio Soldati e Gianni Monnet, il Movimento Arte Concreta (MAC).

Negli anni ’50 ha inizio la vera attività teorica di Dorfles, in forte contrasto rispetto agli assunti crociani ancora dominanti. Perché l’attenzione di Dorfles è rivolta soprattutto «ai fenomeni comunicativi di massa, alla moda e al design, soffermandosi pur sempre sulla pittura, sulla scultura e sull’architettura moderna e contemporanea». Dagli anni ’60 è ai giovani universitari italiani che rivolge la propria attenzione, attraverso lezioni di estetica tra Milano, Trieste e Cagliari mentre dagli anni ’80 riprende l’attività pittorica precedentemente interrotta per i troppi impegni.

Non c’è stato territorio che Angelo Dorfles, detto Gillo, non abbia esplorato con le sue intuizioni che gli sono valse numerosi riconoscimenti internazionali sia come artista che come critico.

Per tutta la vita aveva cercato il modo di mettere sotto controllo l’irrazionale dell’arte, con la voglia di scoprire e la testardaggine (quella che nonostante la sordità gli faceva rifiutare in pubblico di esibire ogni tipo di apparecchio acustico) di un giovane. Un giovane di 107 anni mai vestito di blu, che definiva colore «troppo classico e banale». Di lui ci resteranno l’eleganza e le parole, quelli sì, davvero immortali.

(cc)

 

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